Quest’anno il lavoro della nostra classe, la II L della
scuola media “Belli”, ci ha coinvolto in tanti momenti:
alcuni di noi, il 9 gennaio 21012, hanno suonato in occasione
delle posa delle pietre d’inciampo, poi altri hanno letto
tutto quello che riguardava le pietre già installate nel
quartiere Prati, in un altro momento infine, abbiamo raccolto
notizie per questo nuovo lavoro. In seguito abbiamo incontrato
in classe Bruno Bartoloni e Augusto Piperno con sua moglie Daniela
Temin, che in ricordo dei loro cari hanno voluto queste pietre
e, qualche giorno dopo, siamo andati nel quartiere per vedere
tutti i luoghi dove sono state messe.
Oltre al racconto della vicenda di Augusto Piperno e di sua moglie
Virginia e di quella di Fritz Warschauer, abbiamo concluso il
lavoro spiegando che cosa sono le pietre per noi e perché è stato
importante eseguire due brani: Fratelli
d’Italia e Libertango,
quando le hanno installate.
Viale Giulio Cesare 223 (vai alla scheda)
Viale Giulio Cesare è una strada parallela a viale delle
Milizie ed è lunga più di un chilometro e mezzo.
E’ un viale rettilineo che collega il Lungotevere a via
Leone IV , vicino alle mura Vaticane e mano a mano che ci si
avvicina all’ incrocio con via Ottaviano, oltre ad ospitare
tante caserme , spuntano palazzi sempre più alti. Il continuo
clacson delle macchine e il chiacchiericcio dei turisti, i molti
negozi e le innumerevoli pizzerie al taglio, vista la vicinanza
con la basilica di San Pietro, l’afflusso di gente dalla
stazione della metropolitana rendono questa via caotica.
Il palazzo al numero civico 223 è stato ristrutturato
e sembra più moderno rispetto agli altri palazzi intorno.
Non si sa come si presentava all’epoca, sicuramente era
diverso da oggi soprattutto per il colore rosa salmone dell’intonaco;
di aspetto è accogliente: pochi piani, un attico luminoso
e un vasto atrio al piano terra. All’esterno il palazzo
ospita anche un cinema storico del quartiere, ora diventato
multisala.
Nulla fa pensare che anche da qui, il 16 ottobre del 1943,
siano stati deportati due cittadini italiani di fede ebraica,
due anziani coniugi: Augusto Piperno e Virginia Baroccio.
Augusto era nato a Roma, il 29 aprile 1874. Pochi anni separano
la sua nascita dal 1870, quando l’arrivo dei “Piemontesi” in
città aveva portato alla fine del dominio pontificio
e garantito pieni diritti civili ai cittadini romani di fede
ebraica.
I suoi genitori, Giacomo Piperno e Rosa Menasci, erano proprietari
di un’azienda tessile dove avrebbero in seguito lavorato
anche i suoi fratelli maggiori. Augusto, invece, si iscrive all’università di
ingegneria di Torino, l’unica all’epoca presente,
dove si laurea in ingegneria industriale.
Dopo un breve impiego nelle Ferrovie, trovò in seguito
lavoro, sempre a Torino, presso uno studio di ingegneria sanitaria
e scientifica che produceva apparecchiature mediche, soprattutto
di vetro. Nel 1900 lasciò Torino per trasferirsi a Roma,
dove aprì una filiale della ditta. Alla morte del titolare,
l’ingegner Rastelli, Augusto rilevò l’intera
ditta concentrando la direzione delle attività a Roma.
Nel frattempo si era sposato con Virginia Baroccio, nata anche
lei a Roma il 5 aprile 1885, ed aveva avuto tre figli: Fernando,
Giorgio, Renata.
La vita dei coniugi Piperno è quella di una famiglia perfettamente
integrata nella società dell’epoca, che le leggi
razziali fasciste promulgate in Italia a partire dal settembre
del 1938, porteranno ad una progressiva emarginazione. A partire
da quel periodo, Augusto vede via via diminuire il numero degli
abituali clienti perché la legislazione antiebraica vieta
alle istituzioni pubbliche di avere fornitori ebrei; per rimediare
a questa situazione l’azienda viene formalmente affidata
a persone di fiducia, che compaiono come unici titolari dell’impresa.
Già dal gennaio del 1938 aveva iniziato a lavorare nell’azienda
di famiglia il primogenito Fernando. Laureato anch’egli
in ingegneria industriale, Fernando aveva terminato all’inizio
del 1938 il servizio militare come ufficiale; le difficoltà materiali
e fisiche che colpiscono Augusto Piperno lo obbligano a lavorare
nella ditta paterna, rinunciando ad un promettente percorso
accademico che le leggi razziali stroncano del tutto con il
divieto per gli ebrei di insegnare in tutte le scuole di ogni
ordine e grado; quelle stesse leggi lo obbligano inoltre a
restituire la sciabola e a levarsi i gradi di ufficiale.
Nel frattempo era entrato nella ditta un personaggio importante
nella vita di Fernando il cugino Carlo Pontecorvo, un ragazzo
pieno di inventiva, “avanti nel tempo”, che entusiasmava
Fernando, facendolo appassionare al proprio lavoro.
Gli orrori nazisti, ancor prima dell’occupazione tedesca
di Roma, erano già entrati nella ditta, un lavorante tedesco,
Fisher, al corrente di quanto accade in Germania ammonisce Augusto
e la sua famiglia, inutilmente. Nell’autunno del 1943,
con l’occupazione tedesca, la situazione precipita. Proprio
la sera del 15 ottobre Carlo Pontecorvo, che aveva trovato rifugio
con la sua famiglia presso un vicino, decide di tornare a casa
ritenendo che la situazione di incertezza, determinata con la
richiesta da parte degli occupanti tedeschi di 50 chili d’oro
alla Comunità ebraica, sia finita. Il mattino seguente è preso
e deportato con tutti i suoi cari.
Anche Augusto e Virginia non vogliono nascondersi e anche loro
sono colpiti dalla grande retata del 16 ottobre che colpisce
1023 romani di fede ebraica; prelevati dalla loro abitazione
in viale Giulio Cesare, a pochi metri di distanza dalla casa
della sorella di Virginia, Clara, e del marito Giuseppe Efrati,
anche loro arrestati, scompaiono nell’inferno di Auschwitz,
dove arrivano il 23 ottobre.
I figli di Augusto, nei modi più diversi, riescono a
salvarsi.
Ferdinando e sua moglie Lidia, sposata nel gennaio del ’43,
avevano già trovato rifugio, nascosti da contadini, a
Mentana; ritornano a Roma muniti di documenti malamente contraffatti,
poco dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio, avvenuto il 22 gennaio
1944. Sempre nella clandestinità, il 16 aprile, nasce
il loro primo figlio, Augusto, registrato all’anagrafe
come Marcello Paolini e riacquisteranno la loro identità solo
con la liberazione di Roma il 4 giugno del ‘44
La famiglia di Augusto Piperno e Virginia Baroccio sopravvivrà e,
ricca di tre figli e, nel corso del tempo, di otto nipoti e più di
trentaquattro pronipoti, porterà a termine il grande compito
di divulgare la loro storia, una storia simile, purtroppo, a
molte altre; le pietre d’inciampo, volute dal loro primo
nipote, Augusto Piperno, sono uno dei tanti tasselli di questa
memoria.
Via Monte Zebio 40 (vai alla scheda)
Al contrario di viale Giulio Cesare, via Monte Zebio è una
via molto tranquilla e silenziosa, intitolata ad una località teatro
di sanguinose battaglie durante la Grande guerra. Al centro è presente
un giardinetto che attraversa tutta la via, dal Tevere arriva
un po’ di vento che fa oscillare i rami degli alberi. A
metà strada si trova la scuola “Pistelli” un
edificio grande e luminoso. All’esterno c’è anche
una torretta con una campana non più usata per il cambio
dell’ora. È un edificio importante per la crescita
dei bambini e per il futuro del nostro Paese.
Le palazzine sono tipiche degli anni ’20-30 del Novecento
e del quartiere: decorazioni all’esterno, ingressi spaziosi
ricoperti da marmi, pochi piani per ogni edificio. Qui, davanti
al numero civico 40 è stata messa, il 9 gennaio 2012,
una pietra d’inciampo in ricordo di Fritz Warschauer.
Fritz Warshauer era nato a Berlino il 9 febbraio 1877. Terzo
figlio di Feodor e Amelie Malainder, apparteneva alla buona
borghesia ebraica pienamente integrata nella vita culturale
tedesca e la sua famiglia comprendeva musicisti, scienziati
ed intellettuali.
Lo stesso Fritz dopo una laurea in chimica, aveva creato un
proprio studio che forniva consulenze di carattere legale,
in materia di brevetti di ambito chimico-scientifico, alle
industrie e a semplici inventori. Dalla moglie, Hilde Dorn,
sposata nel 1912, aveva avuto due figli: Marianne, nata l’anno
successivo e, nel 1920, Friedrich .
Con l’avvento del nazismo, lo studio e le consulenze di
Fritz continuarono ad essere attive pur con difficoltà sempre
più marcate dal crescente antisemitismo e da una società sempre
più ostile, che progressivamente privò tutti i
tedeschi di fede ebraica dei propri diritti e dei propri beni.
Sua figlia Marianne, già nel 1933 lasciò la Germania
per giungere a Roma dove, poco dopo, si sposò con Giulio
Bartoloni.
Fritz e Hilde raggiunsero solo ai primi di settembre del 1941
la figlia Marianne a Roma, quando la deportazione in Germania
era ormai organizzata in modo sistematico. L’altro figlio
Friedrich si era rifugiato, appena diciottenne, in Inghilterra,
ma poco dopo lo scoppiò della guerra, considerato come
nemico in quanto tedesco, era stato deportato in Australia dove,
sopravvissuto miracolosamente all’affondamento della nave
che lo trasportava, fu costretto a lavorare in una fabbrica di
batterie per scopi bellici. Gli altri familiari di Fritz subirono
la deportazione e la morte: fra questi una cugina di Marianne,
Feodora, deportata in Polonia e costretta a lavori forzati, fu
uccisa da un ufficiale delle SS. a cui aveva osato ribattere;
l’amata madre di Fritz, Aurelie detta oma (nonna) Reli,
ridotta a sopravvivere in una Berlino sempre più ostile,
fu deportata insieme alla figlia Wally nel luglio 1942, per il
campo di Theresienstadt, dove morì nell’ottobre
di quell’anno.
A Roma, nell’autunno del 1943 in piena occupazione tedesca
e dopo la grande retata del 16 ottobre, i coniugi Warschauer
dovettero nascondersi: Hilde trovò rifugio a Trastevere
presso una donna di cui è noto solo il nome, Eleonora;
Fritz invece si rifugiò al Pontificio Istituto Orientale
nei pressi della basilica di Santa Maria Maggiore, dopo aver
abbandonato l’ospitalità ricevuta dalla famiglia
Zaini in via Monte Zebio.
La sera del 21 dicembre 1943 la polizia italiana, al comando
di Pietro Koch, lo arrestò nell’istituto insieme
ad altri ebrei e rifugiati politici. Condotto a Regina Coeli,
vi rimase fino alla fine di febbraio del ‘44 quando fu
trasferito a Fossoli, da dove, il 5 aprile salì sul treno
piombato che lo condusse ad Auschwitz. La data di morte di Fritz è nota
con certezza, perché raccontata da Tadeusz Pawlak, un
prigioniero politico polacco che condivise con Fritz l’inferno
di Auschwitz e che, dopo la guerra, inviò una lettera
alla famiglia di Marianne; Fritz morì il 7 luglio 1944
nell’infermeria del campo di sterminio.
La memoria di questa vicenda è rimasta nel ricordi di
molte persone in particolare di suo nipote, Bruno Bartoloni,
che l’ha mantenuta viva col passare degli anni attraverso
libri, articoli e racconti e con questa pietra d’inciampo.
La musica. Le pietre d’inciampo
Per noi la musica è molto importante, perché risalta
ed esprime le emozioni di chi l’ha scritta, di chi la suona
e di chi l’ascolta, anche grazie alla musica l’uomo
si differenzia dalle bestie e per questo è stato veramente
importante ed emozionante suonare il 9 gennaio 2012 in occasione
della posa delle pietre, per onorare con la musica le vittime
della Shoah. Noi, ragazzi dodicenni, per ricordare quei tempi
abbiamo solo potuto suonare, ma soprattutto ascoltare le parole
di quanti hanno voluto mettere le pietre d’ inciampo
per non dimenticare anche in questo modo questa tragedia che
ha segnato il ventesimo secolo.
In fondo, le pietre d’inciampo sono dei ricordi immersi
nella strada e nella storia sotto forma di sampietrini dorati;
sono il sistema più semplice di riflettere e tenere vivo
la memoria di ciò che è accaduto in quei tempi
di sofferenza, perché basta camminare per il marciapiede
o fare una tranquilla passeggiata e si può inciampare
nel passato rimanendo pochi secondi a meditare in silenzio.
La pietra d’inciampo diventa così il primo mattone
del baluardo contro l’indifferenza, l’intolleranza
e il pregiudizio, per riaffermare il valore del rispetto degli
altri e delle loro culture, il valore della dignità umana
e l’importanza di ognuno di noi.
Bibliografia
Per il progetto “ Pietre d’inciampo” riguardante
viale Giulio Cesare e via Monte Zebio, abbiamo potuto contare:
- Per i dati riguardanti Virginia Baroccio, Augusto Piperno
e Fritz Warschauer: Liliana Picciotto Fargion, Il
libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia
(1943-1945),
Mursia, Milano 1991, in particolare pp. 42, 47-48, 126 (dati
biografici su Virginia Baroccio), 476 (dati biografici su Augusto
Piperno), p. 613 (dati biografici su Fritz Warschauer); notizie
anche in
Liliana Picciotto Fargion, L’occupazione tedesca
e gli Ebrei di Roma, Carucci, Roma 1979.
- Per il 16 ottobre 1943: Roma 16 ottobre
1943: Anatomia di una deportazione, Silvia Haia Antonucci , Claudio Procaccia,
Gabriele Rigano, Giancarlo Spizzichino, Guerrini e associati,
Milano 2006, in particolare pp. 45 - 51.
La vicenda di Fritz Warschauer e della sua famiglia è raccontata
con ricchezza di particolari da Bruno Bartoloni in Le orecchie
del Vaticano, Mauro Pagliai editore, Roma 2012.
È stato inoltre molto importante incontrare le persone
che hanno voluto queste pietre d’inciampo: grazie perciò per
la loro disponibilità e per aver risposto alle nostre
domande a Bruno Bartoloni, Augusto Piperno e Daniela Temin.
Grazie anche al nostro professore di violino, il maestro Marco
Quaranta, per averci seguito ed assistito nella nostra esibizione
in viale Giulio Cesare e via Monte Zebio, nonché alla
signora Rita Berti per le riprese del video che accompagna
il nostro lavoro.
La classe II L della Scuola superiore
di primo grado “Giuseppe
Gioachino Belli”, a.s. 2011-2012: Alessandro Antonioli,
Maria Sole Aquisti, Simone Capurro, Eva Cisternino, Jennifer
Cunan, Federico Davoli, Viola Dezi, Livio De Bonis, Michael
Federico D’Intino, Chiara Galatà, Asia Ghezzi,
Francesco Giunta, Leda Mileto, Federica Moratti, Mattia Orecchia,
Mario Edoardo Pandolfo, Leonardo Panetta, Micha Peyretti, Romeo
Petrucci, Giorgia Sacco, Giulia Tedeschi, Cristiana Traetta,
Flavia Valenti, Matteo Varchi. |
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