2012 Scuola Media G. Gioacchino Belli - Roma
   
Scuola Media
G. Gioacchino Belli
Roma
 

Scuola Media Statale
Sperimentale
Giuseppe Mazzini
Roma

 
ISIS Vincenzo Gioberti
Roma
 
Scuola Media Statale
Maria Grazia Cutuli
Roma
 

Liceo Scientifico Statale
Malpighi
Roma

 
 
 
 
 
 
 
 
 

Quest’anno il lavoro della nostra classe, la II L della scuola media “Belli”, ci ha coinvolto in tanti momenti: alcuni di noi, il 9 gennaio 21012, hanno suonato in occasione delle posa delle pietre d’inciampo, poi altri hanno letto tutto quello che riguardava le pietre già installate nel quartiere Prati, in un altro momento infine, abbiamo raccolto notizie per questo nuovo lavoro. In seguito abbiamo incontrato in classe Bruno Bartoloni e Augusto Piperno con sua moglie Daniela Temin, che in ricordo dei loro cari hanno voluto queste pietre e, qualche giorno dopo, siamo andati nel quartiere per vedere tutti i luoghi dove sono state messe.
Oltre al racconto della vicenda di Augusto Piperno e di sua moglie Virginia e di quella di Fritz Warschauer, abbiamo concluso il lavoro spiegando che cosa sono le pietre per noi e perché è stato importante eseguire due brani: Fratelli d’Italia e Libertango, quando le hanno installate.


Viale Giulio Cesare 223 (vai alla scheda)

Viale Giulio Cesare è una strada parallela a viale delle Milizie ed è lunga più di un chilometro e mezzo. E’ un viale rettilineo che collega il Lungotevere a via Leone IV , vicino alle mura Vaticane e mano a mano che ci si avvicina all’ incrocio con via Ottaviano, oltre ad ospitare tante caserme , spuntano palazzi sempre più alti. Il continuo clacson delle macchine e il chiacchiericcio dei turisti, i molti negozi e le innumerevoli pizzerie al taglio, vista la vicinanza con la basilica di San Pietro, l’afflusso di gente dalla stazione della metropolitana rendono questa via caotica.
Il palazzo al numero civico 223 è stato ristrutturato e sembra più moderno rispetto agli altri palazzi intorno. Non si sa come si presentava all’epoca, sicuramente era diverso da oggi soprattutto per il colore rosa salmone dell’intonaco; di aspetto è accogliente: pochi piani, un attico luminoso e un vasto atrio al piano terra. All’esterno il palazzo ospita anche un cinema storico del quartiere, ora diventato multisala.
Nulla fa pensare che anche da qui, il 16 ottobre del 1943, siano stati deportati due cittadini italiani di fede ebraica, due anziani coniugi: Augusto Piperno e Virginia Baroccio.
Augusto era nato a Roma, il 29 aprile 1874. Pochi anni separano la sua nascita dal 1870, quando l’arrivo dei “Piemontesi” in città aveva portato alla fine del dominio pontificio e garantito pieni diritti civili ai cittadini romani di fede ebraica.
I suoi genitori, Giacomo Piperno e Rosa Menasci, erano proprietari di un’azienda tessile dove avrebbero in seguito lavorato anche i suoi fratelli maggiori. Augusto, invece, si iscrive all’università di ingegneria di Torino, l’unica all’epoca presente, dove si laurea in ingegneria industriale.
Dopo un breve impiego nelle Ferrovie, trovò in seguito lavoro, sempre a Torino, presso uno studio di ingegneria sanitaria e scientifica che produceva apparecchiature mediche, soprattutto di vetro. Nel 1900 lasciò Torino per trasferirsi a Roma, dove aprì una filiale della ditta. Alla morte del titolare, l’ingegner Rastelli, Augusto rilevò l’intera ditta concentrando la direzione delle attività a Roma. Nel frattempo si era sposato con Virginia Baroccio, nata anche lei a Roma il 5 aprile 1885, ed aveva avuto tre figli: Fernando, Giorgio, Renata.
La vita dei coniugi Piperno è quella di una famiglia perfettamente integrata nella società dell’epoca, che le leggi razziali fasciste promulgate in Italia a partire dal settembre del 1938, porteranno ad una progressiva emarginazione. A partire da quel periodo, Augusto vede via via diminuire il numero degli abituali clienti perché la legislazione antiebraica vieta alle istituzioni pubbliche di avere fornitori ebrei; per rimediare a questa situazione l’azienda viene formalmente affidata a persone di fiducia, che compaiono come unici titolari dell’impresa.
Già dal gennaio del 1938 aveva iniziato a lavorare nell’azienda di famiglia il primogenito Fernando. Laureato anch’egli in ingegneria industriale, Fernando aveva terminato all’inizio del 1938 il servizio militare come ufficiale; le difficoltà materiali e fisiche che colpiscono Augusto Piperno lo obbligano a lavorare nella ditta paterna, rinunciando ad un promettente percorso accademico che le leggi razziali stroncano del tutto con il divieto per gli ebrei di insegnare in tutte le scuole di ogni ordine e grado; quelle stesse leggi lo obbligano inoltre a restituire la sciabola e a levarsi i gradi di ufficiale.
Nel frattempo era entrato nella ditta un personaggio importante nella vita di Fernando il cugino Carlo Pontecorvo, un ragazzo pieno di inventiva, “avanti nel tempo”, che entusiasmava Fernando, facendolo appassionare al proprio lavoro.
Gli orrori nazisti, ancor prima dell’occupazione tedesca di Roma, erano già entrati nella ditta, un lavorante tedesco, Fisher, al corrente di quanto accade in Germania ammonisce Augusto e la sua famiglia, inutilmente. Nell’autunno del 1943, con l’occupazione tedesca, la situazione precipita. Proprio la sera del 15 ottobre Carlo Pontecorvo, che aveva trovato rifugio con la sua famiglia presso un vicino, decide di tornare a casa ritenendo che la situazione di incertezza, determinata con la richiesta da parte degli occupanti tedeschi di 50 chili d’oro alla Comunità ebraica, sia finita. Il mattino seguente è preso e deportato con tutti i suoi cari.
Anche Augusto e Virginia non vogliono nascondersi e anche loro sono colpiti dalla grande retata del 16 ottobre che colpisce 1023 romani di fede ebraica; prelevati dalla loro abitazione in viale Giulio Cesare, a pochi metri di distanza dalla casa della sorella di Virginia, Clara, e del marito Giuseppe Efrati, anche loro arrestati, scompaiono nell’inferno di Auschwitz, dove arrivano il 23 ottobre.
I figli di Augusto, nei modi più diversi, riescono a salvarsi.
Ferdinando e sua moglie Lidia, sposata nel gennaio del ’43, avevano già trovato rifugio, nascosti da contadini, a Mentana; ritornano a Roma muniti di documenti malamente contraffatti, poco dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio, avvenuto il 22 gennaio 1944. Sempre nella clandestinità, il 16 aprile, nasce il loro primo figlio, Augusto, registrato all’anagrafe come Marcello Paolini e riacquisteranno la loro identità solo con la liberazione di Roma il 4 giugno del ‘44
La famiglia di Augusto Piperno e Virginia Baroccio sopravvivrà e, ricca di tre figli e, nel corso del tempo, di otto nipoti e più di trentaquattro pronipoti, porterà a termine il grande compito di divulgare la loro storia, una storia simile, purtroppo, a molte altre; le pietre d’inciampo, volute dal loro primo nipote, Augusto Piperno, sono uno dei tanti tasselli di questa memoria.


Via Monte Zebio 40 (vai alla scheda)

Al contrario di viale Giulio Cesare, via Monte Zebio è una via molto tranquilla e silenziosa, intitolata ad una località teatro di sanguinose battaglie durante la Grande guerra. Al centro è presente un giardinetto che attraversa tutta la via, dal Tevere arriva un po’ di vento che fa oscillare i rami degli alberi. A metà strada si trova la scuola “Pistelli” un edificio grande e luminoso. All’esterno c’è anche una torretta con una campana non più usata per il cambio dell’ora. È un edificio importante per la crescita dei bambini e per il futuro del nostro Paese.
Le palazzine sono tipiche degli anni ’20-30 del Novecento e del quartiere: decorazioni all’esterno, ingressi spaziosi ricoperti da marmi, pochi piani per ogni edificio. Qui, davanti al numero civico 40 è stata messa, il 9 gennaio 2012, una pietra d’inciampo in ricordo di Fritz Warschauer.
Fritz Warshauer era nato a Berlino il 9 febbraio 1877. Terzo figlio di Feodor e Amelie Malainder, apparteneva alla buona borghesia ebraica pienamente integrata nella vita culturale tedesca e la sua famiglia comprendeva musicisti, scienziati ed intellettuali.
Lo stesso Fritz dopo una laurea in chimica, aveva creato un proprio studio che forniva consulenze di carattere legale, in materia di brevetti di ambito chimico-scientifico, alle industrie e a semplici inventori. Dalla moglie, Hilde Dorn, sposata nel 1912, aveva avuto due figli: Marianne, nata l’anno successivo e, nel 1920, Friedrich .
Con l’avvento del nazismo, lo studio e le consulenze di Fritz continuarono ad essere attive pur con difficoltà sempre più marcate dal crescente antisemitismo e da una società sempre più ostile, che progressivamente privò tutti i tedeschi di fede ebraica dei propri diritti e dei propri beni. Sua figlia Marianne, già nel 1933 lasciò la Germania per giungere a Roma dove, poco dopo, si sposò con Giulio Bartoloni.
Fritz e Hilde raggiunsero solo ai primi di settembre del 1941 la figlia Marianne a Roma, quando la deportazione in Germania era ormai organizzata in modo sistematico. L’altro figlio Friedrich si era rifugiato, appena diciottenne, in Inghilterra, ma poco dopo lo scoppiò della guerra, considerato come nemico in quanto tedesco, era stato deportato in Australia dove, sopravvissuto miracolosamente all’affondamento della nave che lo trasportava, fu costretto a lavorare in una fabbrica di batterie per scopi bellici. Gli altri familiari di Fritz subirono la deportazione e la morte: fra questi una cugina di Marianne, Feodora, deportata in Polonia e costretta a lavori forzati, fu uccisa da un ufficiale delle SS. a cui aveva osato ribattere; l’amata madre di Fritz, Aurelie detta oma (nonna) Reli, ridotta a sopravvivere in una Berlino sempre più ostile, fu deportata insieme alla figlia Wally nel luglio 1942, per il campo di Theresienstadt, dove morì nell’ottobre di quell’anno.
A Roma, nell’autunno del 1943 in piena occupazione tedesca e dopo la grande retata del 16 ottobre, i coniugi Warschauer dovettero nascondersi: Hilde trovò rifugio a Trastevere presso una donna di cui è noto solo il nome, Eleonora; Fritz invece si rifugiò al Pontificio Istituto Orientale nei pressi della basilica di Santa Maria Maggiore, dopo aver abbandonato l’ospitalità ricevuta dalla famiglia Zaini in via Monte Zebio.
La sera del 21 dicembre 1943 la polizia italiana, al comando di Pietro Koch, lo arrestò nell’istituto insieme ad altri ebrei e rifugiati politici. Condotto a Regina Coeli, vi rimase fino alla fine di febbraio del ‘44 quando fu trasferito a Fossoli, da dove, il 5 aprile salì sul treno piombato che lo condusse ad Auschwitz. La data di morte di Fritz è nota con certezza, perché raccontata da Tadeusz Pawlak, un prigioniero politico polacco che condivise con Fritz l’inferno di Auschwitz e che, dopo la guerra, inviò una lettera alla famiglia di Marianne; Fritz morì il 7 luglio 1944 nell’infermeria del campo di sterminio.
La memoria di questa vicenda è rimasta nel ricordi di molte persone in particolare di suo nipote, Bruno Bartoloni, che l’ha mantenuta viva col passare degli anni attraverso libri, articoli e racconti e con questa pietra d’inciampo.


La musica. Le pietre d’inciampo

Per noi la musica è molto importante, perché risalta ed esprime le emozioni di chi l’ha scritta, di chi la suona e di chi l’ascolta, anche grazie alla musica l’uomo si differenzia dalle bestie e per questo è stato veramente importante ed emozionante suonare il 9 gennaio 2012 in occasione della posa delle pietre, per onorare con la musica le vittime della Shoah. Noi, ragazzi dodicenni, per ricordare quei tempi abbiamo solo potuto suonare, ma soprattutto ascoltare le parole di quanti hanno voluto mettere le pietre d’ inciampo per non dimenticare anche in questo modo questa tragedia che ha segnato il ventesimo secolo.
In fondo, le pietre d’inciampo sono dei ricordi immersi nella strada e nella storia sotto forma di sampietrini dorati; sono il sistema più semplice di riflettere e tenere vivo la memoria di ciò che è accaduto in quei tempi di sofferenza, perché basta camminare per il marciapiede o fare una tranquilla passeggiata e si può inciampare nel passato rimanendo pochi secondi a meditare in silenzio.
La pietra d’inciampo diventa così il primo mattone del baluardo contro l’indifferenza, l’intolleranza e il pregiudizio, per riaffermare il valore del rispetto degli altri e delle loro culture, il valore della dignità umana e l’importanza di ognuno di noi.


Bibliografia


Per il progetto “ Pietre d’inciampo” riguardante viale Giulio Cesare e via Monte Zebio, abbiamo potuto contare:
- Per i dati riguardanti Virginia Baroccio, Augusto Piperno e Fritz Warschauer: Liliana Picciotto Fargion, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Mursia, Milano 1991, in particolare pp. 42, 47-48, 126 (dati biografici su Virginia Baroccio), 476 (dati biografici su Augusto Piperno), p. 613 (dati biografici su Fritz Warschauer); notizie anche in
Liliana Picciotto Fargion, L’occupazione tedesca e gli Ebrei di Roma, Carucci, Roma 1979.

- Per il 16 ottobre 1943: Roma 16 ottobre 1943: Anatomia di una deportazione, Silvia Haia Antonucci , Claudio Procaccia, Gabriele Rigano, Giancarlo Spizzichino, Guerrini e associati, Milano 2006, in particolare pp. 45 - 51.
La vicenda di Fritz Warschauer e della sua famiglia è raccontata con ricchezza di particolari da Bruno Bartoloni in Le orecchie del Vaticano, Mauro Pagliai editore, Roma 2012.
È stato inoltre molto importante incontrare le persone che hanno voluto queste pietre d’inciampo: grazie perciò per la loro disponibilità e per aver risposto alle nostre domande a Bruno Bartoloni, Augusto Piperno e Daniela Temin. Grazie anche al nostro professore di violino, il maestro Marco Quaranta, per averci seguito ed assistito nella nostra esibizione in viale Giulio Cesare e via Monte Zebio, nonché alla signora Rita Berti per le riprese del video che accompagna il nostro lavoro.

La classe II L della Scuola superiore di primo grado “Giuseppe Gioachino Belli”, a.s. 2011-2012: Alessandro Antonioli, Maria Sole Aquisti, Simone Capurro, Eva Cisternino, Jennifer Cunan, Federico Davoli, Viola Dezi, Livio De Bonis, Michael Federico D’Intino, Chiara Galatà, Asia Ghezzi, Francesco Giunta, Leda Mileto, Federica Moratti, Mattia Orecchia, Mario Edoardo Pandolfo, Leonardo Panetta, Micha Peyretti, Romeo Petrucci, Giorgia Sacco, Giulia Tedeschi, Cristiana Traetta, Flavia Valenti, Matteo Varchi.