La ricerca
su Margherita Bondì e
la sua famiglia è nata all’interno del progetto “Semata” (laboratorio
delle fonti archivistiche del territorio setino) dell’ISISS “Pacifici
e De Magistris” di Sezze (LT) coordinato dal prof. Giancarlo
Onorati. Lo scorso anno scolastico, attraverso un lavoro d’archivio
e di documentazione orale, gli alunni hanno ricostruito la vicenda
delle famiglie di religione ebraica, i Di Veroli e gli Spagnoletto,
residenti nel comune lepino durante la persecuzione nazi-fascista
e protette, a rischio della vita, da famiglie di non ebrei (Campoli,
Ricci, Proia ed altre). La storia è stata raccontata attraverso
un cortometraggio risultato vincitore del concorso “Il
percorso dei Giusti” della Regione Lazio e in giugno gli
alunni hanno avuto la possibilità di visitare Gerusalemme
e il memoriale dello Yad-Vashem. Ciò che più ha
attratto la loro attenzione è stata la “Hall of
Names”, nessuno sapeva che dei 6 milioni di ebrei morti
durante la Shoah più di due milioni non avevano una identità.
Il loro pensiero è corso allora a Margherita Bondì,
una signora nata a Sezze e morta ad Auschwitz, di cui alcuni
mesi prima aveva parlato il loro docente che si era imbattuto
casualmente in quel nome visitando proprio il database online
dello Yad-Vashem. Il prof. Onorati aveva spiegato loro che a
Sezze nessuno sapeva di Margherita anche se il suo nome era riportato
nel “Libro della memoria” di Liliana Picciotto. Avere
il solo nome era già molto, l’impegno era ora
quello di dare a quel nome un volto e una storia...
La prima tappa della ricerca è stata ovviamente l’anagrafe
comunale nella quale è stato rinvenuto l’atto di
nascita di Margherita, l’altra tappa l’Archivio storico
del Comune di Sezze dove però non sono stati trovati altri
riscontri, alcuni riferimenti su Internet, e in particolare alcune
lettere pubblicate dal sito dell’ITC “Barozzi” di
Modena hanno invece permesso di conoscere documenti importantissimi
conservati al CDEC di Milano, altre notizie ci sono state fornite
dall’Archivio storico della Comunità ebraica di
Roma per tramite della Sig. Lorella Ascoli. Poi a novembre la
vera svolta grazie a Sandra Terracina del “Progetto memoria” (Fondazione
CDEC - Dipartimento Cultura Comunità Ebraica Roma) scopriamo
che la signora Paola Corcos, nipote acquisita di Raffaele Milano,
marito di Margherita, aveva chiesto la posa delle pietre d’inciampo
per Margherita Bondì e per sua figlia Silvana. Incontriamo
la Sig. Corcos presso la “Casa della Memoria” e oltre
a sentire la testimonianza di chi ha conosciuto personalmente
Margherita, ha frequentato la sua casa, ha giocato con Silvana…scopriamo
i loro volti e la loro grafia attraverso le foto e le lettere
conservate in copia, le stesse che il CDEC ha nell’originale.
Le emozioni si uniscono alle drammatiche notizie che veniamo
a sapere dalla testimonianza di Paola Corcos e che avremo modo
di confermare attraverso ulteriori ricerche presso l’Archivio
Centrale dello Stato, per tramite del giornalista Aldo Anziano
de “La Provincia” di Latina, e presso l’Archivio
di Stato di Roma. Il 13 gennaio c’è la cerimonia
della posa delle pietre d’inciampo in via dei Querceti
24, una giornata indimenticabile…quindi la partecipazione
al servizio “La pietra d’inciampo” della trasmissione
di RAI 2 “Sorgente di vita”, andata in onda il 30
gennaio. Pian piano i pezzi del puzzle si ricompongono, ne mancano
molti, alcuni sarà difficile individuarli ma ora, finalmente,
Margherita ha la sua storia.
Margherita era nata a Sezze, il 22 marzo 1887, da Settimio
e Fortunata Ascarelli ed aveva una sorella di nome Celeste.
Sezze, appartenente allora alla Provincia di Roma, era nel
cuore delle paludi pontine ed era il centro più importante
del Circondario di Velletri. La piccola cittadina lepina contava
circa 9.000 abitanti e aveva un’economia piuttosto povera
basata sull’agricoltura in cui dominava il latifondo.
I Bondì abitavano in via Garignano, oggi via Gramsci,
nella parte più alta del paese, Settimio era Cancelliere,
Fortunata era casalinga. A Sezze c’era allora una piccola
comunità di ebrei, il Censimento del 1871 aveva registrato
9 persone di religione ebraica, ma una significativa presenza
ebraica nel paese pontino è documentata già a
partire dal XIII secolo, nel Medioevo c’era anche una
Sinagoga in via dei Chiavari. A fine ‘800 il Consiglio
Comunale concesse agli ebrei uno spazio adiacente al Cimitero
cattolico, in località Zoccolanti, in cui seppellire
i loro cari, il Cimitero ebraico di Sezze è tutt’ora
esistente.
Non è stato al momento possibile accertare quando Margherita
andò via da Sezze, un documento conservato all’archivio
della Comunità ebraica di Roma riporta la seguente annotazione “proveniente
da Pontremoli 29.8.913”, all’inizio degli anni ’20
comunque ella sposò a Roma, nel Tempio maggiore, Raffaele
Milano che gli diede due figli, Ennio, morto di tifo a 10 anni
durante la terribile epidemia che nel 1935 colpì Roma,
e Silvana, nata a Roma il 22 agosto 1927.
Raffaele nacque a Sora (FR), capoluogo di distretto dell’allora
provincia di Terra di Lavoro, il 16 Gennaio 1896 da Leone Giuseppe
e da Giuditta Scazzocchio, che avevano un negozio di stoffe
nella centralissima Piazza S.Restituta. Suo padre, ufficiale
di complemento, era morto di polmonite nel 1905 lasciando la
moglie e cinque figli. La famiglia di Raffaele fu drammaticamente
colpita dal devastante terremoto del 13 gennaio 1915 che rase
al suolo Avezzano e sconvolse i paesi della Valle Roveto e
della Media Valle del Liri. Raffaele si salvò e così pure
il fratello Settimio e la sorella Bice, sotto le macerie sorane
morirono invece la mamma, il fratello Oscar e la sorella Egle.
I superstiti della famiglia Milano si trasferirono a Roma.
Il 20 giugno 1916 Raffaele fu richiamato alle armi nel I Reggimento
di Artiglieria di Campagna, trasferito al 47° Reggimento
di Artiglieria di Campagna con il grado di caporale il 22 aprile
1917 raggiunse la zona di guerra dove fu ferito due volte.
Egli prestò servizio nel Regio Esercito “con fedeltà ed
onore”, fu “insignito della Croce al
merito di guerra” e nel dicembre del 1919 fu congedato.
Raffaele svolgeva l’attività di agente di commercio per
conto delle Cartiere Miliani di Fabriano e dell’Azienda
Cartaria Italiana di Milano, dai documenti dell’Archivio
Centrale dello Stato sappiamo che Raffaele “di
regolare condotta morale e politica” non s’iscrisse però al
P.N.F.
La famiglia Bondì-Milano abitò a Roma dapprima
in via Volturno, quindi in via dei Querceti. Con l’inizio
della persecuzione razziale fascista la loro vita ovviamente
cambiò in modo radicale, la piccola Silvana, ad esempio,
dovette lasciare la scuola pubblica e fu iscritta alla Scuola
Media Israelitica di via Celimontana. Con atto registrato
il 12 luglio 1939 nel Registro anagrafico di Sezze Margherita
fu dichiarata “appartenente alla razza ebraica”,
una annotazione successiva ci informa che ella e la sua famiglia
fu “discriminata” con decreto del Ministero
dell’Interno
(n. 1423/3681 dell’8 novembre 1939). I documenti della
Direzione Generale Demografia e Razza del Ministero dell’Interno,
conservati all’Archivio centrale dello Stato, attestano
che il riconoscimento della condizione di “discriminazione” alla
famiglia Milano-Bondì fu dovuta al fatto che Raffaele
era stato insignito della Croce di guerra durante il primo
conflitto mondiale.
Dopo il bombardamento del 19 luglio 1943 alcuni familiari
di Raffaele si allontanarono da Roma e dopo l’8 settembre
entrarono in clandestinità, la famiglia Milano-Bondì rimase
nella capitale e, sfuggita alla retata del 16 ottobre, si
nascose sotto falso nome (Ticone) in una pensione di via
Palestro dove rimase fino al 25 febbraio 1944 quando fecero
irruzione uomini della milizia fascista guidata da una donna
che li arrestarono e li condussero a Regina Coeli:
«Mentre
stavamo in sala da pranzo, alle ore 14 entrarono degli uomini
e una donna con le rivoltelle in mano. Andati nella nostra
stanza, hanno fatto una perquisizione, dopo ci hanno fatto
prendere il paltò e ci hanno portato via.
Nella stanza vi erano 27 mila lire, un orologio d’oro
da donna, due clips d’oro nell’abito mio nero,
e tutta la nostra roba. A mio marito è stato tolto
tutto quello che aveva, compreso il portafoglio con 15 mila
lire. Siamo senza denaro. La donna conosceva mio marito da
cinque anni da Giulianova vicino Pescara.
Margherita
Mandateci del denaro»
(Biglietto s.d. [aprile 1944 ?]
fatto uscire presumibilmente dal Carcere di Regina Coeli)
Da quel momento i destini di Raffaele
e delle due donne si separarono, Raffaele fu fatto uscire
dalla cella n. 388 il 24 marzo per essere condotto alle
Fosse Ardeatine e trucidato con gli altri 334 prigionieri
come rappresaglia per l’attentato
di via Rasella, Margherita, gravemente malata, e Silvana
rimasero invece nel carcere romano fino al 10 aprile quando,
ignare del destino di Raffaele, furono trasferite nel Campo
di transito di Fossoli con un convoglio partito dalla stazione
Tiburtina:
«Carissimo
Settimio,
non so se tu per mezzo di quello che si incarica di darti notizie
di Silvana, hai saputo che sono partiti. Dovevo mandarti il
bigliettino che Silvana aveva mandato domenica, ma ho aspettato
perché Celeste doveva avere notizie e poi perché volevamo
mandare il pacco per vedere se passava. Ieri, il pacco è stato
respinto e hanno detto che sono partiti, ma per dove non si
sa perché quella persona che conosce Celeste non sa
nulla. Abbiamo mandato Regina la donna di Margherita a domandare
al comando tedesco e dice che non possono dirlo. Così adesso
siamo rimasti privi di notizie anche di queste due povere donne.
Celeste aveva comperato le iniezioni aveva speso 200 lire e
invece non hanno ricevuto nulla. Quella persona con cui abbiamo
parlato ieri dopo pranzo dice che son partiti lunedì sera
alle 7 e ha veduto Silvana mentre che il camion partiva ma
non gli ha potuto dire niente, mentre Margherita non l’ha
veduta perché si vede che già era montata. Di
Raffaele ancora non si sa nulla, ma purtroppo è inutile
più sperare. Mi sembra di rivivere quelle brutte giornate
del terremoto, quando c’era sempre l’incertezza
dei nostri cari spariti, ma purtroppo allora si sono potuti
rivedere morti, mentre questi non li rivedremo più.
Dio ci ha voluto provare un po’ troppo, eppure bisogna
che sia fatta la sua volontà. Quanto avrei bisogno di
stare un po’ insieme con voi in questo brutto momento,
mentre dobbiamo stare lontani e soffrire più immensamente.
Non ti dico che giornata ho passato ieri insieme a Celeste;
il pensiero che Silvana, povero amore; resterà sola;
perché Margherita certamente non potrà resistere
dato le sue condizioni di salute. Ti senti straziare l’animo.
Speriamo almeno che possano rimanere in Italia e che un giorno
si possa fare ricerca almeno di lei. Ho troppo l’animo
straziato e non posso più scrivere. Coraggio, coraggio
a te e Adriana. Scrivimi qualche volta per mezzo della signora
Valentina così almeno ho il conforto di vedere i tuoi
scritti perché adesso non ho altri che te e Adriana
Bice»
(Lettera di Bice a Settimio, s.d. [aprile 1944])
Margherita e Silvana giunsero a Fossoli mercoledì 12
aprile e pochi giorni dopo scrissero una lettera a Gianna Arrigoni,
una signora non ebrea che nascondeva la famiglia Corcos:
«18-4
Cara Gianna,
Siamo arrivate dopo un viaggio buono mercoledì. Spero
avrete già nostre notizie. Ti ringrazio di quanto hai
fatto per noi. Noi stiamo bene, siamo all’aria aperta
e c’è gioventù così mia figlia passa
il tempo con loro. Ti debbo chiedere ancora un favore. Mi dovresti
mandare dei denari e credo che si possa avere fino a £ 1000
a persona. Mi servirebbero anche delle scarpe pesanti con calze
e pedali di lana, golf e un abito per cambiarci e se è possibile
un abito leggero per questa estate, due sacchi da montagna,
un paio di forbici. Per mandare questa roba rivolgetevi allo
spedizioniere Lorini via S. Andrea delle Fratte. Mi raccomando
fa tutto con molta sollecitudine e informatevi bene sia per
i pacchi che per i denari. Mi raccomando molta sollecitudine
perché ci vuole tempo prima che arrivi e credo che dovremo
trasferirci verso il nord. Spedite tutto a Fossoli provincia
di Modena. Tanti, tanti baci a tutti: Mandami notizie di voi
e specialmente di Raffaele.
Iddio ci aiuti e arrivederci
Bacioni»
(Lettera di Margherita a Gianna Arrigoni, 18 aprile 1944)
Il campo di transito di Fossoli era stato istituito con decreto
n. 73 del 28 maggio 1942 per servire come luogo di reclusione
per prigionieri di guerra ed era gestito inizialmente da militari
italiani. Nei mesi seguenti la sua fisionomia cambiò e,
a seguito del famigerato ordine n. 5 di polizia del 30 novembre
1943 concernente l’arresto e il concentramento di tutti
gli ebrei, vi fu allestito anche il campo nazionale per ebrei.
Si diede il via ai lavori per un altro Campo, chiamato in seguito “Campo
nuovo”, con 15 baracche in grado di contenere 5.000 persone.
Dal gennaio del '44 a Fossoli si insediarono le SS che lo considerarono
come campo di transito e polizia (Polizei
und Durchgangslager) e assunsero il controllo della struttura (specialmente dell'ala
sud che fu riservata agli ebrei). Fossoli fu scelta per ragioni
strategiche soprattutto per la vicinanza alla ferrovia.
A Fossoli Margherita e Silvana restarono fino al 16 maggio 1944
quando furono caricate sul convoglio n. 10:
«La mattina del 15 maggio 1944 (…) fu annunciata
la partenza di un nuovo trasporto. Tutti i preliminari di questa
deportazione si svolsero come per i convogli precedenti: i preparativi
per i bagagli, la distribuzione supplementare di alimenti, l’appello,
gli addii il discorso di propaganda teso a tranquillizzare gli
animi e a evitare disordini (…) Alla stazione non vi fu
il minimo gesto di violenza, il carico avvenne senza problemi.
Una delle deportate, Goti Herskowitz, al quinto o sesto giorno
di viaggio, durante una sosta del treno, riuscì a leggere
sulla parete esterna del suo vagone la destinazione di Auschwitz»
(L.Picciotto, L’alba
ci colse come un tradimento. Gli ebrei nel campo di Fossoli.
1943-1945, Milano, 2010, p.126)
Sullo stesso treno di Margherita e Silvana viaggiò anche
Hanna Kugler Weiss, sopravvissuta alla deportazione e che oggi
vive in Israele. Gli alunni del Progetto “Semata” l’hanno
incontrata a Gerusalemme ed hanno potuto ascoltare il suo emozionante
racconto. Nel libro Racconta! Hanna ha richiamato alla memoria
anche quel terribile viaggio:
«Il mattino seguente [16
maggio 1944] iniziò l’evacuazione del campo di Fossoli
(…) I camion, zeppi di gente, uscivano dal campo e dopo
un po’ ritornavano vuoti per ricominciare da capo (…)
Il viaggio durò alcuni minuti. All’arrivo, dinanzi
a noi attendeva lungo la banchina un treno, composto solo da
vagoni merci. Ci fecero entrare in un vagone vuoto, senza sedili
o panche. In un angolo c’era un secchio (…) La porta
del vagone venne chiusa (…) Tutto parlava di tristezza
e miseria (…) Aria e luce provenivano dalle quattro aperture
nelle due pareti del vagone, ma solo da una era possibili guardare
fuori, mentre le altre tre erano attraversate da filo spinato
(…) Gli ebrei potevano rimanere chiusi nel vagone fermo
per ore su un binario morto, mentre da sinistra e da destra correvano
gli altri treni; che differenza fa per un ebreo rimanere chiuso
in un vagone nel caldo di maggio, senza aria, nel puzzo dei suoi
escrementi, senza cibo e senza acqua? L’ebreo è sempre
stato un maiale, perciò…La porta veniva aperta
una volta al giorno per permettere di svuotare il secchio e allora,
se c’era la possibilità, cercavamo di fare provviste
d’acqua (…) Il 22 maggio 1944, nel pomeriggio avanzato,
il treno si fermò»
(H.K.Weiss, Racconta! Fiume-Birkenau-Israele, Firenze 2006,
pp. 36-39).
Su questo trasporto ci sono molte altre testimonianze, quella
però davvero straordinaria è di Eugen Keller,
un soldato della Ordnungpolizei di scorta al convoglio:
«A Monaco-Est il convoglio fece, per la prima volta,
una sosta abbastanza lunga. Eravamo stati in viaggio circa
12-16 ore ininterrotte. Eravamo partiti da Verona verso le
9 di mattina. A Monaco-Est, gli occupanti dei vagoni vennero
fatti scendere a turno, vagone per vagone, per fare i loro
bisogni. Erano costretti a farli sui binari che, alla fine,
erano tutti insozzati (…) A Monaco-Est furono distribuiti
anche, per la prima volta, i viveri (…) Mi fu possibile
stabilire che gli occupanti avevano avuto una distribuzione
di viveri anche a Carpi. Dopo Monaco, tale distribuzione ebbe
luogo ancora un paio di volte (…) Inoltre, più tardi,
alle Frontleitstellen [Comandi dei posti di frontiera], procurammo
della minestra calda distribuendola, poi, nei vagoni. I loro
bisogni, però, potevano farli solo durante le fermate
e questo accadeva sovente, almeno una volta al giorno. Da Monaco
proseguimmo il viaggio solo la mattina seguente, passando per
Landshut, Marienbad-Aussig e Breslavia. Le soste più lunghe
durante le quali potemmo far uscire gli ebrei furono presso
Breslavia e ad Auschwitz. Fino allo scarico ad Auschwitz il
viaggio era durato almeno 4 giorni. Solamente durante il viaggio
avevamo appreso che la destinazione era Auschwitz»
Il racconto del soldato si sofferma
a questo punto sulla morte di un’anziana donna e sulle
doglie di un’altra donna. Quindi prosegue:
«Quando arrivammo nei pressi di Auschwitz, il tratto era
pieno di altri convogli. Rimanemmo tutta la notte davanti alla
rampa di scarico del lager prima di potervi accedere. Il treno
rimase sulla rampa ancora tutto un giorno e una notte prima di
venire scaricato. Noi, vale a dire il Begleitkommando, avemmo
tutto il tempo di vedeire scaricare gli altri treni e di osservare
tutti gli ulteriori procedimenti dopo lo scarico. Erano treni
di ebrei che venivano dall’Ungheria e dall’Olanda.
Le aperture dei carri merci erano sbarrate da fil di ferro. Gli
occupanti dovevano avere una sete terribile, perché vidi
come protendevano le mani attraverso i fili per cogliere le gocce
di pioggia – c’era un tempo orribile – che
spiovevano dai tetti. Il nostro Transportführer richiamò la
nostra attenzione sui procedimenti usati dopo lo scarico dagli
altri treni: egli era letteralmente inorridito e diceva che era
una grossa porcheria. Dopo che mi ebbe avvertito, vidi poi come
gli occupanti di un convoglio proveniente dall’Ungheria
venivano tirati giù dai vagoni da internati del lager
armati di randelli, e come questi ultimi, in parte, buttavano
letteralmente fuori vecchi e bambini. Vidi poi che li facevano
andare in gruppi in un posto lì vicino, dove parecchi
ufficiali SS con lunghi mantelli dividevano con un bastone gli
ebrei in due gruppi e, come risultava chiaramente, accantonavano
da un lato gli uomini e le donne dall’aspetto giovane e
robusto e, dall’altro lato, quelli più anziani e
i bambini. Era evidente che, nel primo gruppo, si trattava di
persone dalla piena capacità lavorativa, mentre nell’altro
c’era gente non pienamente efficiente. Mentre il gruppo
delle persone atte al lavoro veniva trasferito nelle baracche
gli altri venivano avviati a gruppi verso una sala enorme che
aveva delle grandi porte di ferro che si aprivano e si chiudevano
automaticamente. Internati del lager sospingevano a forza gli
ebrei in quella sala e li colpivano a randellate. Gli ebrei levavano
alte grida e lamenti. A quella vista mi diressi verso quella
grande porta che era spalancata e così ebbi modo di osservare
che nella sala venivano compressi sempre più ebrei, e
che gli ebrei che erano già dentro si stavano spogliando
o erano già nudi (…) Seppi poi da internati del
lager i quali stavano al Corpo di Guardia che la grande sala
era una camera a gas nella quale gli ebrei, dopo che era stato
provveduto al taglio dei capelli femminili, venivano uccisi mediante
il gas. Per indurli a svestirsi, gli veniva detto che dovevano
fare ancora la doccia prima di entrare nel lager (…) in
quel epoca arrivavano un numero così esorbitante di convogli
che quasi non ce la facevano a gasare e bruciare i cadaveri nei
forni crematori posti dietro le camere a gas, bisognava in parte
distruggere i cadaveri con i lanciafiamme»
(Testimonianza di Eugen Keller cit. in
L.Picciotto, L’alba
ci colse come un tradimento. Gli ebrei nel campo di Fossoli.
1943-1945, Milano, 2010, pp.150-152)
Il treno giunse dunque ad Auschwitz la sera del 22 maggio, ma solo la mattina
seguente i 582 deportati, compreso un bambino nato da Carolina Lombroso Calò durante
il trasporto, furono fatti scendere sulla rampa di scarico del Lager:
«In quei giorni il campo di Auschwitz-Birkenau era
intasato di nuovi arrivi di disgraziate famiglie, specialmente dall’Olanda e dall’Ungheria,
sicché i forni crematori predisposti per la bruciatura dei corpi della
gente assassinata non bastavano; occorreva bruciare i corpi anche all’aperto,
cosa che provocava un terribile puzzo che si spandeva per chilometri (…)
Centottantasei uomini superarono la selezione e furono immessi in campo con i
numeri di matricola da A-5343 a A-5528; 70 le donne che furono immatricolati
con i numeri di matricola da A-5345 a A-5414 (..) I sopravvissuti, tra uomini
e donne, alla fine della guerra erano 60 (…) Tra gli identificati di questo
convoglio i bambini (nati dopo il 1931, cioè sotto i tredici anni) erano
42, mentre gli anziani (nati prima del 1874, cioè ultrasettantenni) erano
48. Il più anziano, anni 86, si chiamava Sanson Segre ed era nato a Casale
Monferrato il 17 novembre 1858. Il più giovane, nato da poco più di
un mese, si chiamava Richard Silberstein»
(L.Picciotto,
L’alba ci colse come
un tradimento. Gli ebrei nel campo di Fossoli. 1943-1945, Milano,
2010, pp.126-128)
Margherita non superò la selezione e fu avviata subito
alle camere a gas, morì dunque il 23 maggio 1944 all’età di
57 anni, sua figlia Silvana invece superò la selezione
e rimase ad Auschwitz alcuni mesi prima di essere trasferita
a Bergen-Belsen dove morì il 12 aprile 1945 di tifo
petecchiale pochi giorni prima della liberazione del campo,
quando ancora non aveva compiuto diciotto anni.
Solo dopo la
fine della guerra cominciò a venire alla
luce la verità sul destino di Margherita, Silvana e Raffaele.
Il cadavere di quest’ultimo fu riconosciuto nella cava
sull’Ardeatina dal fratello Settimio da una camicia che
gli aveva portato in carcere. Fu inoltre presentata una denuncia
alla Procura Militare di Stato presso il Tribunale Militare di
Roma contro i presunti protagonisti della cattura della famiglia
Milano-Bondì. Già nel luglio del 1944 la Questura
di Roma iniziò le indagini a carico di A.C. consegnato
da un gruppo di “patrioti”; dopo alcune resistenze
questi confessò il coinvolgimento nella cattura di Raffaele
Milano scaricando comunque le responsabilità maggiori
su Luciana Ferrani e R.M. Dagli atti si rileva che Raffaele cercò inizialmente
di negare la propria identità, evidentemente per proteggere
le due donne, e solo dopo terribili torture e la richiesta di
un’ispezione corporale per accertare che fosse davvero
di religione ebraica confermò di essere Milano. Le indagini
furono particolarmente difficili invece nell’individuazione
della donna, gli inquirenti furono più volte sviati dal
fatto che ella aveva assunto molte identità e quando accertarono
definitivamente che si trattava di L.A., nota anche come contessa
Marini e Luciana Ferrani, ne dovettero constatare la morte, avvenuta
il 10 febbraio 1946, e pertanto il magistrato archiviò il
caso. Il mandato di cattura (4 ottobre 1947) imputava L.A. di
collaborazione con i tedeschi di via Tasso nella cattura di numerosi
partigiani e antifascisti, il documento riporta anche il nome
di Raffaele Milano.
Ci sono ancora filoni di ricerca su questa vicenda in fase di
approfondimento, essi riguardano in particolare gli anni dell’infanzia
e della giovinezza di Margherita, il trasferimento di Silvana
a Bergen-Belsen, gli esiti delle indagini della magistratura.
Bibliografia
Fonti d’archivio
consultate:
1) Archivio Storico del Comune di Sezze, Registro delle nascite.
1887: Atto n. 142, Bondì Margherita;
2) Archivio di Stato di Roma, Procura della Repubblica. Tribunale
di Roma;
3) Archivio di Stato di Modena, Questura, Div. I Gabinetto cat.
Speciale E3. Serie Internati, b. 1940-1949;
4) Carte private Sig.ra Paola Corcos.
Fonti orali:
1) Testimonianza della Sig.ra Paola Corcos,
nipote di Raffaele Milano (data telefonicamente il 1 e 2 dicembre
2010 e registrata su supporto audio il 12 dicembre 2010 presso
la “Casa della
Memoria” di Roma).
Fonti edite:
1) Relazione sul censimento 1871 eseguito in Sezze
(a cura della Commissione di Censimento presieduta da F.Lombardini),
Velletri 1872.
Letteratura critica essenziale:
1) Darkhei Shalom (Le strade delle
pace), video prodotto nel 2010 dall’ I.S.I.S.S. “Pacifici e De Magistris” di
Sezze - Progetto “Semata” (Segni) – proff.
Giancarlo Onorati e Giovanni Raponi
2) La
pietra d’inciampo (RAI2 “Sorgente di Vita”) (link
al sito)
3) L. Di Ruscio, R. Gravina, E. Modigliani, S. Terracina (a cura
di), 1939-1943. Dalla vita quotidiana alla storia, Provincia
di Roma - Assessorato Politiche della Scuola, FNISM Sezione Roma
e Regione Lazio, Progetto Memoria, Roma 2010
4) L. Frassineti, L. Tagliacozzo, Anni spezzati, Giunti Progetti
Educativi e Comunità ebraica di Roma, Firenze 2009
5) M. Beer, A. Foa, I. Iannuzzi, Leggi del 1938 e cultura del
razzismo. Storia, memoria, rimozione, Viella, Roma 2010
6) M. T. Caciorgna, Marittima medievale. Territori, società,
poteri, Il Calamo, Roma 1996
7) L. Gasparotto, Diario di Fossoli, Bollati Boringhieri, Torino,
2007
8) L. Gulia, Due martiri sorani alle Fosse Ardeatine Domenico
Iaforte e Raffaele Milano, in AA.VV., Risorgimento e Resistenza:
aspetti di storia ottocentesca e contemporanea nel frusinate.
Atti del convegno (6 febbraio 1994), Ass. “Gli Argonauti”,
Ferentino 1994
9) R. Hilberg, La distruzione degli ebrei d’Europa, Einaudi,
Torino 1999
10) La lezione della Shoah numero monografico degli “Studi
e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione”, n.117-118,
2006-2007, Le Monnier, Roma, 2007
11) T. Marrone, Meglio non sapere, Roma-Bari 20093
12) AAVV, a cura di Lia Tagliacozzo e S. Fatucci, Parole chiare.
Luoghi della memoria in Italia. 1938-2010 (a cura dell’UCEI),
Giuntina, Firenze 2010
13) L. Picciotto, Il libro della memoria. Gli Ebrei deportati
dall’Italia (1943-1945). Ricerca della Fondazione Centro
di Documentazione Ebraica Contemporanea, Mursia, Milano terza
ed. 2002
14) L. Picciotto, L’alba ci colse come un tradimento, Gli
ebrei nel campo di Fossoli 1943-1944, Mondadori, Milano, 2010.
15) A. Portelli, L’ordine è già stato eseguito.
Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Donzelli, Roma 1999
16) F. Scarica, Presenze ebraiche a Sezze tra Medioevo e Rinascimento,
Tesi di laurea a.s. 2005-2006, Facoltà di Scienze Umanistiche
dell’Università di Roma “La Sapienza”
17) H. K. Weiss, Racconta! Fiume-Birkenau-Israele, Giuntina,
Firenze 2006
18) S. Venezia, Sonderkommando Auschwitz, Rizzoli, Milano 2007
19) L. Zaccheo, La Comunità ebraica di Sezze, [S. l.]
: Consorzio delle biblioteche dei monti Lepini , stampa 1987
( Cori : ETIC Grafica1987).
I.S.I.S.S. “Pacifici e De Magistris” di
Sezze
Alunni del Progetto “Semata” 2011
“Una stele e un nome…”
prof. Giancarlo Onorati
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