In memoria
di Eugenio Paladini
Giovedì 28 Gennaio 2010: posa della “pietra d’inciampo”.
Via Taranto 178, da oggi monito per noi e per le future generazioni. In ricordo
di una grande figura di uomo e di militare, quella del colonnello Eugenio Paladini,
vittima della guerra sempre disumana e del suo senso dell’onore e della
dignità di uomo. Dopo l’8 settembre in Albania dove si trovava
con il suo reggimento fu fatto prigioniero dai tedeschi e segui il destino
di migliaia di altri nostri soldati trascinati nei Lager di Germania e di Polonia
e trasformati i forza lavoro per il Reich.
In prigionia a Meppen nell’ottobre 1943 Paladini trovò la morte,
morte volontaria e sulle circostanze che lo spinsero a questo gesto abbiamo
cercato di far luce. Un comune sampietrino basilare e modesto in forma e dimensioni,
che però si assume un compito di enorme importanza: farci pensare e
ricordare. Una piccola installazione dall’enorme scopo: farci “inciampare” col
pensiero. Scopo che l’artista ha centrato in pieno.
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Grazie a questo “Stolpersteine” – i familiari sampietrini
a cui Roma tra l’altro è particolarmente legata – si apre
una finestra su una pagina di storia su cui si è posata tanta polvere
e che pochi conoscono. Infatti anche se prigionieri questi nostri connazionali
hanno dato il loro contributo alla lotta di liberazione, preferendo la durezza
del Lager all’offerta di andare a combattere, nuovamente liberi, per
Mussolini e la repubblica di Salò. Oggi che viviamo in democrazia, molto
spesso ci dimentichiamo di come siamo arrivati a ottenere la nostra libertà,
i nostri diritti e il nostro modo di vivere, e a chi dobbiamo tutto questo.
Nel nostro piccolo, non possiamo far altro che prenderne atto e impegnarci
con tutte le nostre forze a impedire in un futuro, che forse non è né lontano
né così improbabile come si crede, che tutto ciò possa
riaccadere.
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Stimolati a ricercare notizie sul nostro personaggio, abbiamo a più riprese
frequentato il Museo Storico della liberazione e l’annessa biblioteca,
avendo la fortuna di incontrarci con la prof.ssa Anna Maria Casavola, conoscente
della famiglia Paladini e autrice di un libro sulle deportazioni dei militari
italiani “7 ottobre 1943”
Purtroppo la bibliografia reperita offre pochissime informazioni in merito
al colonnello; tuttavia siamo riusciti a venire a contatto con due realtà in
molti casi non adeguatamente conosciute: la condizione degli Internati Militari
Italiani (I.M.I.) in Germania e le vicende, durante la Resistenza romana, di
Arrigo Paladini, figlio di Eugenio, anch’ egli militare, che poi nella
vita civile dopo la guerra, diverrà professore e infine direttore
del Museo Storico della Liberazione.
Eugenio e Arrigo Paladini:
padre e figlio uniti dallo stesso ideale e divisi dalle atrocità della
guerra.
Eugenio Paladini era un colonnello di artiglieria, monarchico, padre di famiglia
e fedele ai propri ideali, catturato e condotto dai tedeschi in Germania, nel
campo di Meppen in Westfalia, un giorno venne profondamente umiliato da un
soldato tedesco: non resse al colpo, e reputando non sopportabile una tale
umiliazione, si tolse la vita, lasciando moglie e figli nel dubbio su quale
fine gli fosse toccata.
Arrigo Paladini seguì la carriera del padre e divenne sottotenente;
come tanti giovani si era lasciato affascinare dalle idee del fascismo ed era
partito volontario per la campagna di Russia. Il suo diario, scritto durante
la permanenza in Russia è una preziosa testimonianza. Ne abbiamo letto
un frammento riportato nel libro “7ottobre 1943” Egli dice che
proprio lì in Russia cominciò la sua critica al fascismo, quando
vide i crimini di cui si macchiavano gli alleati nazisti nei confronti degli
ebrei e della popolazione civile. Dopo l’8 settembre passò subito
nelle file dell’esercito del Sud e quindi nella Resistenza romana. Nel
maggio 1944, su delazione, venne arrestato dai tedeschi e rinchiuso, nel carcere
di via Tasso, nella cella numero 2 dove soffrì immani sofferenze, come
tutti i prigionieriper motivi politici. Durante la detenzione subì diversi
interrogatori accompagnati da torture, anche morali, le più insidiose.
In particolare ci è stato riferito l'episodio in cui Kappler gli disse: “Se
non parli fucileremo tuo padre”. Il sottotenente Arrigo Paladini chiese: “Dunque
mio padre è vivo?” I tedeschi gli risposero: “ E' vivo;
e noi lo fucileremo se non parli.” Un senso di sollievo pervase il sottotenente
nell'apprendere che il padre era vivo, e insieme d'angoscia, perché si
rese conto che non poteva tradire gli amici della Resistenza e che doveva continuare
a tacere. Arrigo, durante la prigionia a via Tasso, soffrì molto per
la propria situazione e per quella italiana.
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In cella incise diversi graffiti sulle pareti; ancora oggi
possiamo leggere: “Quando
la patria esige che tu sia forte, ricordati che non esserlo è tradimento.
Sottotenente Arrigo Paladini condannato a morte per aver servito l'Italia”.
Molto intimo è anche una sorta di testamento che scrisse pensando che
fosse arrivata la sua fine, in queste righe ci dice che è fiero della
vita da soldato compiuta, non ha rimpianti, chiede perdono ai suoi cari per
aver recato loro molto dolore, chiede alla fidanzata di far vivere sempre la
sua idea, quella cioè di lottare quando l’ora lo richiede per
la salvezza della Patria. In contrapposizione a questa richiesta di perdono
c'è un ringraziamento a Dio per la fermezza con la quale stava affrontando
la sua sorte.
Liberato dagli Alleati al loro arrivo a Roma, il 4 giugno1944, Arrigo Paladini
continuerà negli anni a ritenersi responsabile della morte del padre
fino a quando un cappellano, che aveva conosciuto il padre in campo di concentramento,
non gli consegnò il testamento di Eugenio e l’ultima lettera alla
famiglia e gli disse come le cose erano andate veramente: il colonnello era
stato gravemente offeso e umiliato da un soldato tedesco, a tal punto da pensare
di non poter più vivere. Quindi aveva ingerito una dose di veleno ed
era morto.
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Arrigo penetrò fino in fondo il dramma vissuto dal padre e tale verità,
se da una parte alleggeriva il suo animo da una responsabilità diretta
nella sua morte, dall'altra aggiungeva al dolore per la fine immatura di un
essere a lui molto caro ( aveva appena 50 anni) l'amarezza per non aver potuto
in qualche modo alleviare le sue pene e allontanarlo da quel gesto estremo.
La moglie del colonnello fu molto scossa dal suicidio del marito. Inoltre
per i pregiudizi esistenti all’epoca sui suicidi e per la condanna che su
di essi esprime la Chiesa cattolica, per anni nella famiglia fu nascosta la
verità sulla morte di Eugenio, preferendo raccontare che il colonnello
era stato una delle tante vittime delle esecuzioni naziste. A svelare la verità sarà molti
anni dopo la moglie di Arrigo, Elvira, in quel bellissimo libro di memorie “ Lungo
il sentiero della libertà” nel quale restituirà al gesto
del suocero il suo valore eroico di suprema protesta morale.
Questo è quel poco che siamo riusciti a sapere di Eugenio Paladini,
un uomo di grande onestà e dirittura morale; la stessa dirittura morale
e la stessa onestà che hanno improntato la condotta del figlio nella
vita militare e civile.
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Bibliografia essenziale
Elvira Sabbatini Paladini: “Arrigo Paladini, il lungo cammino della libertà” -
Ed. Civitas, 1995 (Roma)
Piero Fortuna – Raffaello
Uboldi: “Sbrindellato, scalzo, ingroppa a un ciuco, ma
col casco d'Africa ancora in capo” (gli Italiani al Sud
e al Nord dall'8 settembre '43 al 25 aprile '45) – Ed.
A. Mondadori, 1976 (Milano)
Calendario 1989 della Scuola
del Genio
“L'Arma dei Carabinieri
Reali in Roma durante l'occupazione tedesca” (8 settembre
1943 – 4 giugno 1944) – a cura del fronte militare
di Resistenza di Roma e suo territorio – organizzazione
Carabinieri Reali – ufficio stralcio – Ed Istituto
poligrafico dello stato – 1946 (Roma)
Anna Maria Casavola: “7
Ottobre 1943 – La deportazione dei Carabinieri romani nei
lager nazisti” - Ed. Studium, 2008 (Roma)
Si ringraziano per la cortese
assistenza e per la disponibilità:
il personale del Museo storico della Liberazione di Via Tasso in Roma,
il personale della Biblioteca annessa al Museo storico della Liberazione di
Via Tasso in Roma,
la Prof.ssa Anna Maria Casavola
Classe 3C Indirizzo Architettura
e Arredo sperimentazione Michelangelo
Gli studenti:
Dario Bovenzo
Giovanni Degli Uberti
Giorgio Dianin
Francesco Ibrahim
Giulia Marrocco
Federica Pastore
Silvia Prastaro
Marta Stefani
Prof. Mauro Masotti |
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