Municipio IX (ora VII)
Via Licia, 56 - Roma
14 gennaio 2013

testo

Era un bravo comunista, un grande professore
All'Alberone si vive di poca retorica, non abbiamo centri sociali, non c'è un'identità forte come in altri quartieri di Roma. La storia se la vuoi, te la devi un po' cercare, perché le targhe alla fine sono sempre coperte da enormi corone di alloro, che non   permettono bene di vedere quel che c'è sotto, quello che c'è scritto, nomi, frasi e storie rimangono nascoste dalla retorica istituzionale. In realtà il mio quartiere ha pagato un prezzo altissimo di vite umane e di intelligenze, descritto in maniera magistrale dal volume "Memorie di quartiere" a cura di Antonio Parisella e Giuseppe Mogavero (Edilazio), la lotta al nazifascismo. Non solo i morti delle Fosse Ardeatine, ma anche i tanti partigiani uccisi in conflitti a fuoco od azioni, sono lì a ricordarci quanto vale la libertà.
Una storia ha attraversato in maniera netta la mia vita e le mie lotte, quella del professor Gioacchino Gesmundo, è una storia d'amore, amore per la libertà, per le scelte sempre nette, sempre dalla parte giusta quella degli ultimi, degli operai, dei proletari, perché in quel tempo esistevano gli operai e i proletari, che costituivano il popolo. La storia di Gesmundo è una storia di idee e immagini, il comunismo, la foto di Lenin e di "altri grandi uomini", la redazione de L'Unità clandestina in casa sua, le lezioni fatte con tantissimi studenti in casa sua, le azioni progettate e messe in atto, arguzia, astuzia e forza ideologica erano alla base dell'azione del piccolo professore di Terlizzi.
Era un comunista coraggioso e ribadisco la sua matrice ideologica, perché la Resistenza spesso occorre ribadire, che fu la lotta della parte migliore di questo Paese contro la parte peggiore, non migliore o peggiore umanamente, ma politicamente, moralmente e socialmente. La Resistenza, come dimostra la storia di Gioacchino Gesmundo, non fu un'adunata insipida di idee, ma una scelta consapevole, un patto tra uomini liberi per restituire dignità ad un Paese intero.
Le storie dei nonni spesso vanno a noia, sia per un fervore adolescenziale che ti invade e sia perché quelle storie poi vorresti viverle tu in prima persona, ma con mio nonno non accadeva mai. Tanto meno per la storia di Gesmundo, che mi facevo ripetere fino alla noia, per paura che gli sfuggisse qualche particolare, qualche elemento fondamentale, quella storia oggi la so a memoria, ma ci sono voluti parecchi mesi dopo la morte di mio nonno perché riuscissi a raccontarla ad altri.
Da bambino pensare che i nazifascismi avessero potuto mettere in ginocchio Roma mi sembrava una cosa assurda, da adolescente era qualcosa che mi provocava rabbia, da giovane uomo mi crea la voglia di non far perdere quelle tracce, quelle storie nell'oblio dei giorni, perché certi valori, senza la retorica delle istituzioni, possono diventare uno strumento per vivere una vita diversa, improntata sull'uguaglianza e sui diritti. La storia di Gioacchino Gesmundo è per me un pezzo di cuore, di radici, di memoria, è una storia che ha invaso la mia vita, contaminandola di valori e di suggestioni.
Spesso mi emoziono per cose abbastanza futili ai più, ma sapere che in un appartamento di Porta Metronia si costruiva un'Italia migliore mi crea un sussulto al cuore, quando compro o vedo L'Unità penso a quei fogli ciclostilati nascosti in casa di quel minuto professore dagli occhi scuri.
Siamo fatti di amore, emozioni, rivoluzione e memoria. Il resto è contorno.
Nell'aprile del 2008, quando mio nonno stava per morire, un giorno ormai allettato gli portai i giornali e discutemmo ancora una volta su quelle elezioni alle porte, con un filo di voce argomentava le sue idee, di uomo semplice, di pensionato che aveva lavorato tutta una vita per mettere una toppa alle tante emergenze che la vita ti riserva e mentre se ne stava andando mi disse:"ti ricordi quanno t'ho portato alle Ardeatine, eri piccolo, forse pure troppo", ed io risposi: "certo che me lo ricordo", "ecco - continuò lui - io queste cose te le ho raccontate a te perché poi te le racconti a qualcuno che verrà dopo, ai figli tuoi, raccontagli pure di Gesmundo, che era un bravo comunista e un grande professore, che mi ha insegnato tanto". Lo incalzai dicendo che sarebbe stato lui a raccontare quelle cose, che era più bravo di me sia a scrivere che a raccontare, lui sorrise un po' leggendo L'Unità.
La sera ci vedemmo l'ultima partita insieme, un'infelice Roma-Manchester, dove sbagliammo anche un rigore. Quando morì il giorno seguente pensai a tante cose, ma Gesmundo era lì, come un'eredità da raccontare, come un simbolo da brandire contro i tempi bruttissimi che avremmo avuto. Quindi la proposta di questa pietra d'inciampo, simbolo altissimo di memoria, in realtà è divisa con lui, con Ermanno Coccia, barista, torrefattore, che visse la Resistenza da bambino e me la raccontò, incontrando Gioacchino Gesmundo e rendendo viva la sua memoria.
(Massimiliano Coccia)

 

Gioacchino Gesmundo

Era un bravo comunista,
un grande professore

La "pietra d'inciampo" per Gesmundo a Roma
( alunni delle   terze classi della "Gesmundo" di Terlizzi)

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