Cos’è “Arte in memoria”
Una biennale di arte contemporanea ospitata nelle rovine della Sinagoga di Ostia Antica, tra le più antiche testimonianze archeologiche dell’ebraismo della Diaspora. Parte integrante del grandioso insediamento romano, attesta la vitalità del nesso tra identità e dialogo multietnico e multiculturale.
Alla prima edizione aperta il 16 ottobre 2002, sono seguite: la seconda il 27 gennaio 2005, la terza il 27 gennaio 2006, la quarta il 28 gennaio 2007, la quinta il 25 gennaio 2009, la sesta il 30 gennaio 2011, la settima il 20 gennaio 2013 e l'ottava il 18 gennaio 2015.  La nona edizione inaugurerà il 22 gennaio 2017.
Artisti di statura internazionale sono invitati a creare lavori appositamente per la sinagoga sul tema della memoria. Al termine di ogni edizione, alcuni di essi rimangono permanentemente in situ: a memoria dell’iniziativa, primo embrione di museo di arte contemporanea in un sito archeologico.
La sinagoga non è un luogo espositivo neutro o neutrale, come una galleria, un museo, uno spazio industriale riadattato; per la sua centralità storica e simbolica, bandisce ogni indifferenza. Così, se le opere ne assorbono, elaborano e restituiscono la singolarità, la sinagoga, nell’accogliere una pluralità di linguaggi artistici, rinnova ogni volta la sua vocazione all’ospitalità, al dialogo, al confronto.

L’idea
Origina dal progetto “Sinagoga di Stommeln”. Costruita nel 1882 in austero stile neo-romanico, la Sinagoga di Stommeln, nei pressi di Colonia, è sopravvissuta in modo rocambolesco alla sua comunità. Riaperta al pubblico nel 1983 dopo un lungo e laborioso restauro, è dal 1991 luogo espositivo: ogni anno, una volta l’anno, un artista diverso.
Il successo dell’iniziativa, ancora in corso, ne ha suggerito la riproposizione in un luogo assai più suggestivo e pregnante come la Sinagoga di Ostia Antica.
Si può pensare a quest’ultima come al contraltare di quella di Stommeln: se quella ostiense, databile al I sec. d.C., coincide infatti con l’abbrivio dell’esilio, quella di Pulheim certifica la fine della stagione più operosa e vitale della diaspora nell’Europa centro-orientale. Dall’esilio alla distruzione della Diaspora allo stato d’Israele: questo l’ arco temporale circoscritto dalle due sinagoghe. Le accomuna l’opzione per l’arte contemporanea, il cui procedere è significativamente analogo a quello della memoria: discontinua e frammentaria, disinvolta e indifferente alla cronologia, declina il passato al presente. Visualizza cioè “le sfide che l’analisi del passato pone al presente”

L’inaugurazione
A differenza di “Sinagoga di Stommeln”, “Arteinmemoria” inaugura in un giorno fisso e prestabilito. Con l’eccezione della prima edizione, aperta il 16 ottobre 2002, nell’anniversario della deportazione degli ebrei romani, quelle successive inaugurano intorno al 27 gennaio, il Giorno della Memoria stabilito nel 2000 dai Parlamenti europei per ricordare l’apertura dei cancelli di Auschwitz.
Contro il rischio di una gestione frettolosa ed episodica, retorica e ripetitiva della Giornata, appannaggio degli “addetti si lavori”, dove la memoria, anziché strumento quotidiano di indagine e prevenzione, è mitizzata, astratta dal suo contesto per auto esporsi uguale a se stessa, “Arte in memoria” coinvolge la comunità degli artisti perché ripopolino la sinagoga con le loro visioni radicate nella storia ma motivate dall’attualità. Esito di un iter complesso le cui stazioni sono: la visita preventiva al luogo, la scelta dello spazio, l’elaborazione di un progetto, la sua realizzazione ed esposizione, la convivenza con altri artisti e altre opere. Come spiega efficacemente David Bidussa: “Il Giorno della memoria non è il giorno dei morti. Il 27 gennaio è il giorno della memoria per i vivi e non della commemorazione dei morti…Il Giorno della memoria riguarda un pezzo della storia culturale dell’Europa con cui il nostro continente ha iniziato a confrontarsi, pur se in ritardo e spesso con disagio…La memoria è un atto che si compie tra vivi ed è volto a legare tra loro individui al fine di costruire una coscienza pubblica. La memoria ha un valore pragmatico, serve per fare, dice oggi che del passato si è trattenuto qualcosa”.

I presupposti
-la memoria non si rivolga unicamente al passato, a ricordare e commemorare tragedie occorse ma sia deterrente al loro riproporsi in forme e contesti differenti.
- la memoria non si fossilizzi in monumenti e riti ma si declini al presente, ai temi e ai drammi della società contemporanea, divenendo una lezione sui diritti delle minoranze, sulla lealtà e il coraggio civico in una società democratica. Per questo, il monito ripetuto ogni anno nel corso della Pasqua ebraica: “Che ogni persona, in ciascuna generazione, consideri se stesso come se fosse personalmente uscito dall’Egitto», è esempio eccellente di memoria collettiva.
- la memoria non esuli dal contesto storico dei fatti raccontati. Per sua natura unilaterale, parziale, ondivaga e lacunosa, è un alleato prezioso della storia: vitalizza e umanizza l’indagine scientifica, impedendole di scadere in fredda e distaccata analisi di eventi concatenati.
Anche l’opera d’arte autentica è una scheggia, una deviazione dal percorso lineare della storia, ma contiene in sé il germe e la consapevolezza della totalità che la precede. Con essa intesse una dialettica vitale, dinamica e problematica, senza la quale si ridurrebbe a tautologia, decorazione, sterile e anacronistica riproposizione.
- “Arte in memoria” non chiede agli artisti un’opera “a tema” o “in memoria di” ma di creare un corto circuito tra il loro linguaggio e la Sinagoga, concentrato di storia, memoria, arte e cultura. Il risultato sono i quarantacinque lavori realizzati sinora; tutti riconoscibili come opera dei loro autori, contengono un surplus semantico ed esegetico sottratto al luogo che però, grazie a loro, torna a vivere.