Luciano FABRO
Groma Monoteista ,
2005
das, acrilico, ferro verniciato, acetato
cm 230x350x350
Groma occupa il luogo della Sinagoga dove erano custoditi, entro lo scrigno ricurvo ricostruito da Sol LeWitt, i Rotoli della Legge. Lì, due anni prima, poggiava il reperto di alabastro di Marisa Merz e risuonavano le note dell’inno a Rosa Luxemburg, diffuse dagli altoparlanti di Susan Philipsz. Il Groma è uno strumento originariamente in uso presso gli antichi romani, per quadrare i terreni: «La sua semplicità di costruzione mi ha affascinato e l’idea di quadrettare il mondo mi ha atterrito», spiega Fabro. I materiali di cui è costruito sono reperibili ovunque: due assi incrociate e quattro pesi (sacchetti riempiti di terra o ampolle di vetro). È concepito la prima volta per una mostra d’architettura (IBA) al Martin Gropius Bau di Berlino nel 1984, nel palazzo che fu quartiere generale delle SS naziste: la terra usata è certamente intrisa di sangue. «Ricordava un progetto sociale, il nazismo, e tra i fili avevo teso una rete di rame morbidissima ma durissima». Una seconda versione è al Castello di Rivoli nel 1989, in una sala riccamente affrescata. In «una città costruita proprio col sistema del groma, indicava una prospettiva urbanistica, ma anche una certa mentalità». Se la terra contenuta nei sacchetti evoca qui la storia infinita del Castello progettato da Filippo Juvarra, la rete di rame è sostituita da teli colorati con macchie di Rorschach. Nel 1997 è la volta di Groma dedicato a Baruch Spinoza. Al posto dei sacchetti di sabbia ci sono quattro ampolle di vetro soffiato di Murano contenenti acqua che, fungendo da lente, consente di leggere quattro lezioni tenute da Fabro all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, infilate nelle ampolle: Una, cento, mille qualità, La sciatteria, Il sospetto, Lo svanire dell’opera dietro la morale, tutte del 1997. Al di sotto dell’ultima ampolla poggia invece il testo della scomunica decretata dalla comunità ebraica di Amsterdam nel 1656. Groma (monoteista) per Ostia antica, infine, sostituisce i sacchetti di sabbia e le ampolle vitree con quattro pizze di gesso: una graffita con la stella di Davide, l’altra con la croce cristiana, la terza con la mezzaluna, la quarta, ancora informe, attende il suo simbolo. Su ciascuna pizza è infilata una delle lezioni suddette. «Vorrebbe depistare dalla catena tragica alla catena alimentare», è il commento ironico-sarcastico di Fabro.