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2010-2016: 500 pietre d'inciampo nella mappa della memoria europea.
Senato della Repubblica
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2010-2016: 500 pietre d'inciampo nella mappa della memoria europea. Senato della Repubblica

Intervento di Adachiara Zevi

I ringraziamenti sinceri in primo luogo: alla senatrice Silvana Amati che, sin dalla prima edizione nel 2010 ha dedicato ogni anno le celebrazioni del Giorno della Memoria o del 16 ottobre in Senato all’iniziativa “Memorie d’inciampo”, dandole ufficialità e autorevolezza. Quando si è trattato di fare un bilancio di questi primi sette anni, ci è sembrato dunque logico farlo in questa sede prestigiosa che lei ci ha concesso con il consueto entusiasmo. Grazie ad Anna Foa per la lectio magistralis che ascolteremo tra poco, grazie alle delegazioni venute da tutta Italia che hanno accolto con favore la proposta di questa giornata di studio e di confronto sulle modalità, difficoltà e diversità con cui ogni sede ha portato e continua a portare avanti il progetto. Grazie infine alla task force dell’Associazione “Arte in memoria” per il lavoro svolto in questi mesi per organizzare questa giornata.

500 pietre d’inciampo in 22 città italiane: un traguardo insperato e imprevedibile solo sette anni fa quando Roma si è aggiunta per la prima volta al mosaico della memoria europea costruito dagli oltre 60.000 Stolpersteine installati personalmente da Gunter Demnig. Non parlerò di cosa sono “pietre d’inciampo”, di dove e come sia nato il progetto e dell’importanza che riveste nel panorama memoriale: tutti i presenti in quest’aula ne sono protagonisti. Voglio solo confermare il detto: “chi ben comincia è a metà dell’opera”: le 30 pietre installate a Roma nella prima edizione del 28 gennaio 2010 esprimevano già in pieno il senso del progetto. Erano dedicate a tutti i deportati, razziali, politici e militari, scongiurando guerre tra memorie e competizioni tra vittime. Agli ebrei catturati in ghetto durante la razzia del 16 ottobre, come la famiglia di Settimia Spizzichino a via della Reginella, ma anche a quelli arrestati successivamente per delazione fascista come la famiglia di Piero Terracina la sera del Seder di Pasqua il 7 aprile 1944. Voglio rivolgere un pensiero e un ricordo affettuoso a una grande donna, scomparsa di recente: Alberta Levi Temin, che ha voluto dedicare, per il tramite dell’Amicizia Ebraico-Cristiana di Napoli, tre pietre d’inciampo in via Flaminia 21 agli zii, Mario Levi e Alba Ravenna, e al cuginetto Giorgio di appena 16 anni, presso i quali si era rifugiata con la famiglia in fuga da Ferrara, pensando che Roma fosse un porto sicuro. Quando all’alba del 16 ottobre sono arrivati i tedeschi, Alberta è stata spinta sul balcone dalla sorella e lì è rimasta sola e impietrita dalla paura e dal dolore mentre i suoi venivano portati via.

A lei dobbiamo una frase, pronunciata quel giorno, mentre Demnig era all’opera, che spiega il senso profondo delle pietre: “i miei cari, almeno i loro nomi, tornano a casa, non sono più nel vento, non sarà solo la pietra tombale posta nel cimitero di Ferrara accanto a quella dei nonni Ravenna a ricordarli. Qui, su questo marciapiede cammina la vita, e i loro nomi ne faranno parte”. Gli Stolpersteine non sono infatti tombe, anche se qualcuno vi appoggia un fiore o vi accende una candela, ma piccoli e discreti luoghi di memoria dove le vittime sono ricordate per nome, “l’unica cosa che si possa riavere dopo la morte”, e continuano a vivere, proprio nel luogo in cui hanno smesso di vivere. Nello stesso giorno, tre pietre furono installate al Pigneto per altrettanti deportati politici inviati a Mauthausen con il convoglio del 4 gennaio 1944 partito dal carcere di Regina Coeli, mentre in un altro Municipio è stato ricordato il colonnello Eugenio Paladini, fatto prigioniero dopo l’8 settembre e suicidatosi pur di non servire la Repubblica di Salò. Infine, difronte alla Caserma di viale Giulio Cesare, 12 pietre furono dedicate ai carabinieri deportati la mattina del 7 ottobre 1943, la cui vicenda, portata alla luce dagli studi di Anna Maria Casavola, verrà rievocata qui dal generale Enzo Bernardini che ringrazio per essere con noi questa mattina. In quelle 30 pietre iniziali, dunque, c’era già uno spaccato significativo della deportazione romana, la prova del carattere diffuso dei focolai di lotta e resistenza al nazi-fascismo, dal centro alle periferie ai quartieri militari. Le decine e decine di richieste che si sono aggiunte successivamente contagiando tante altre città italiane, hanno confermato, arricchito e ampliato quei presupposti, attraverso storie già note e altre inedite, saldando sempre la testimonianza dei famigliari alla verifica della storia.

Quale lo scopo dell’incontro di oggi? Indicherò alcuni punti che, nati dalla nostra esperienza, ci piacerebbe confrontare con tutti voi.

L’avvio del progetto
A Roma, dopo vari tentativi falliti nel 2007 con i vertici istituzionali, il progetto è partito grazie al coinvolgimento dei Municipi, al loro impegno entusiasta, alla capacità di creare una rete istituzionale dal basso che si fa carico ogni anno dell’installazione delle pietre, della loro tutela e salvaguardia. A loro va la nostra gratitudine.
I committenti
Più volte ci siamo trovati a insistere con altre città sull’opportunità che le famiglie, e non le istituzioni, fossero il motore dell’iniziativa, i committenti delle pietre. Non solo in quanto depositari delle storie, ma soprattutto perché la loro presenza costituisce uno degli aspetti più significativi del progetto, il passaggio cioè da una memoria privata, gelosamente custodita per anni a una memoria pubblica che diviene patrimonio della collettività e delle sue istituzioni. Per questo gli Stolpersteine, così discreti ma così radicati, danno tanto fastidio; per questo in molte città europee sono consentiti solo negli spazi privati: non si vuole che la storia che veicolano entri a far parte della coscienza pubblica. Demnig insiste che la cosa che gli sta più a cuore è riunire le famiglie, proprio nel luogo in cui sono state costrette a separarsi. Riunire quanti non ci sono più, la cui genealogia è visualizzata dalla disposizione stessa delle pietre a terra, con quanti sono sopravvissuti e con le generazioni successive che, grazie alle pietre e intorno alle pietre, si ritrovano spesso riuniti per la prima volta, provenienti dai quattro angoli del mondo, come nel caso della famiglia Piperno i cui figli hanno dedicato ai genitori le pietre e i cui nipoti e pronipoti hanno compiuto in 35 il viaggio dei nonni ma a ritroso, da Auschwitz a viale Giulio Cesare dove sono le pietre che li ricordano. Le foto di queste riunioni famigliari sono struggenti perché raccontano la storia di ben cinque generazioni. Va benissimo dunque se l’idea di installare le pietre parte dalle istituzioni ma l’assenza dei famigliari, se ancora in vita, priverebbe il progetto della sua anima: molti di loro sono oggi qui perché committenti del progetto; altrimenti, si tratterebbe di un altro monumento calato dall’alto e incapace di creare intorno a sé una memoria collettiva, per non dire condivisa.
La sinergia
tra le forze impegnate nella realizzazione del progetto. Il Comitato promotore a Roma è costituito dall’ANED (Associazione Nazionale ex Deportati); dall’ANEI (Associazione Nazionale ex Internati); dalla Federazione delle Amicizie Ebraico Cristiane di Italia; dalla Fondazione CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), dall’ IRSIFAR (Istituto Romano per la Storia d’Italia dal Fascismo alla Resistenza); dal Museo Storico della Liberazione; in collaborazione con le Biblioteche di Roma. Ha il Patronato del Presidente della Repubblica, il patrocinio del Comitato di coordinamento per le Celebrazioni in ricordo della Shoah della Presidenza del Consiglio, dell’UCEI e della Comunità Ebraica; il sostegno dei Municipi via via interessati dalle installazioni e quello prezioso dell’Ambasciata tedesca, rappresentante del paese in cui Demnig è nato e dove il progetto è stato varato nel 1993.
Grazie Ambasciatrice per essere oggi qui con noi.
Il Rapporto con i cittadini
è un punto cruciale. Reazioni di entusiasmo, solidarietà e partecipazione si alternano infatti a quelle di fastidio a quelle decisamente aggressive e violente come l’imbrattamento delle pietre o, addirittura, il loro sradicamento. Installate davanti al portone di casa, le pietre non consentono indifferenza, impediscono a chi entra ed esce quotidianamente, più volte al giorno, da quel portone, di non identificarsi oggi con l’inquilino della porta accanto di ieri, per interrogarsi su come si sarebbe comportato allora e come si comporterebbe oggi: indifferente, solidale con i perseguitati, complice degli aguzzini? Una inquilina di via Miani davanti al cui portone sono interrate tre pietre, così scrive: “non posso immaginare di vivere nel 1943 in questa casa, sentire l’arrivo dei camion, vedere portar via i miei vicini e sapere che non l’avrei più rivisti. Mi chiedo se avrei avuto il coraggio di nasconderli o di aiutarli”. Così il passato, che ci sembra tanto lontano, si affaccia improvvisamente e prepotentemente per interrogarci sul presente.

Ancora, il Progetto didattico che coinvolge le scuole dei Municipi interessati è ovviamente di importanza fondamentale. I giovani sono i veri destinatari di questo progetto. Il lavoro svolto dagli insegnanti, le ricerche portate avanti dai ragazzi che si traducono in performance, mostre e concerti il giorno delle installazioni, fanno sì che gli studenti sentano il progetto come loro: quando nel 2012 sono state divelte le pietre in via Santa Maria in Monticelli, sono corsi dal loro insegnante denunciando la profanazione delle “loro” pietre. Gli Stolpersteine sono un ottimo strumento per avvicinare i giovani, anche i giovanissimi, alla tematica della guerra, della deportazione e dello sterminio.

Vorremmo discutere inoltre la possibilità di creare un unico sito web dove radunare le immagini di tutte le installazioni italiane e di tutte le storie. Il nostro sito già ne ospita un buon numero e si candida dunque a questo ruolo.
Infine, e concludo, La data per l’installazione delle pietre.

Molte città vorrebbero installarle nel giorno in cui le deportazioni hanno avuto luogo. A parte il fatto che ciò comporterebbe per Demnig un onere non compatibile con il suo affollatissimo calendario, credo che sia molto appropriato che l’installazione avvenga proprio in gennaio, in concomitanza con il Giorno della memoria, un giorno che, a sedici anni dalla sua istituzione, è oggetto di discussioni, polemiche e controversie. C’è chi ne valuta il successo dal numero di eventi che riesce a produrre, chi contesta invece quella compulsività come snaturamento del suo intento programmatico. Concordo con la seconda posizione, convinta che il Giorno della Memoria debba essere non un evento rivolto ad altri, men che mai alle vittime, ma un’occasione di riflessione per tutti noi, vivi e passibili, senza il vaccino della storia, di ripetere gli stessi orrori. Dato che si tratta di una ricorrenza, “Perché non ascoltare per tre anni di fila la stessa voce di testimone? O leggere lo stesso brano da un libro di Primo Levi come in fondo sarebbe coerente con il rito, con la natura stessa della ricorrenza?”, suggerisce la scrittrice Elena Loewenthal. Ecco, l’installazione delle pietre d’inciampo è un rituale che si ripete ogni anno uguale a se stesso, nelle premesse e negli esiti: le famiglie commissionano le pietre, indicano i luoghi dove collocarle, raccontano le storie che verranno tradotte in dati forniti all’artista perché possa scolpirle e infine installarle personalmente nella data stabilita, quando troverà ad aspettarlo i famigliari, i rappresentanti istituzionali, gli abitanti del municipio, gli studenti e i loro insegnanti. Sempre uguale ma sempre diverso; due varianti rendono infatti ogni volta unico questo rituale: i nomi dei deportati e i luoghi delle loro abitazioni: nominazione e diffusione sono del resto le due prerogative che ci autorizzano a parlare degli Stolpersteine non come di un monumento o di un memoriale ma come di una mappa della memoria che si espande anno dopo anno sino ad abbracciare, non si sa quando, l’intero continente europeo. I tempi lunghi, direi biblici, del progetto, che non sarà certo Demnig a veder concluso, visualizzano i tempi lunghi della elaborazione della memoria, diversi da paese a paese, da città a città, persino da famiglia a famiglia. Ma quando dieci milioni di pietre saranno state installate, quei bagliori di luce segnaleranno che l’Europa avrà finalmente preso coscienza, come dice Padre Patrick Debois, di essere un immenso cimitero.
Grazie.