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La deportazione degli ebrei dall'Italia
iniziò molto rapidamente, dopo l'8 settembre 1943, con l'insediamento
delle truppe tedesche nel nord e nel centro della penisola. Già nei
primi dieci giorni di ottobre iniziarono le deportazioni nelle zone
di Trieste e Bolzano, sottoposte alla diretta amministrazione delle
autorità naziste. Il 26 settembre fu ordinato agli ebrei romani
di consegnare 50 kg d'oro, pena la deportazione di 200 capifamiglia.
Malgrado l'oro fosse stato consegnato, all'alba di sabato 16 ottobre
fu avviata a Roma la prima retata di massa di ebrei, che portò all'arresto
di oltre mille persone ad opera di un reparto specializzato di SS,
comandato da Herbert Kappler.
Ciò era stato possibile perché, a differenza di quanto
era accaduto nel resto dell'Europa occupata, la politica antisemita
non era giunta in Italia portata dall'esercito nazista. Già nell'estate
del 1938, prima con il “Manifesto della razza”, poi con
la “Dichiarazione della razza”, il censimento degli ebrei
italiani, i provvedimenti contro gli ebrei stranieri, l'espulsione
di docenti e studenti ebrei dalle scuole e dalle università (settembre
1938), il fascismo aveva avviato una complessa e completa politica
razzista. Le cosiddette “leggi razziali” del novembre
1938 determinarono la nascita di un corpo legislativo compatto che
espelleva gli ebrei anche dalle professioni, dagli impieghi pubblici,
da alcuni tipi di impieghi privati, prescriveva limiti alle loro
proprietà, proibiva i matrimoni misti, escludeva gli ebrei
da ogni forma di vita culturale e sociale (biblioteche, archivi,
circoli sportivi, attività editoriali, teatrali, ecc.). Furono
creati appositi uffici che curarono l'applicazione rigorosa delle
leggi, oltre che l'aggiornamento del censimento.
Fu così possibile ai nazisti trovare in Italia il terreno
già predisposto per l'avvio immediato delle deportazioni,
usufruendo – tra l'altro – del censimento analitico
e completo delle famiglie ebraiche e delle loro residenze.
A Roma, dopo la retata del 16 ottobre, i prigionieri furono trattenuti
al Collegio Militare, accanto a Regina Coeli, fino alla mattina
del lunedì successivo, quando furono portati alla stazione
Tiburtina e caricati su treni merci. Da lì, alle 14.05 partirono
direttamente per Auschwitz, dove la grande maggioranza fu inviata
direttamente alle camere a gas il giorno dell'arrivo, 23 ottobre
1943. Non era ancora stato istituito il campo di transito di Fossoli,
in provincia di Carpi, che iniziò a funzionare verso la
fine del 1943, come centro di raccolta degli ebrei da trasportare
nei campi di sterminio. In seguito all'avanzata delle truppe alleate,
fu successivamente sostituito da quello di Bolzano-Gries, mentre
sul Litorale Adriatico funzionava la Risiera di San Sabba.
Il 30
novembre 1943, nel suo manifesto programmatico (la “Carta
di Verona”) la Repubblica Sociale Italia proclamava gli ebrei
italiani stranieri e nemici, legittimando così lo scatenarsi,
nei mesi successivi, della spietata caccia all'ebreo che avrebbe
condotto a circa ottomila deportati dall'Italia nei campi di sterminio.
A
Roma, nei mesi successivi e fino alla Liberazione, più di
mille ebrei si aggiunsero agli oltre mille deportati del 16 ottobre,
arrestati quasi sempre su delazione di italiani, fascisti o, semplicemente,
desiderosi di incassare la taglia di 5000 lire posta su ogni ebreo.
Le
tre famiglie alle quali vengono oggi dedicate le “pietre
di inciampo” rappresentano simbolicamente la realtà della
deportazione degli ebrei da Roma. Due di esse, le famiglie Spizzichino
e Levi sono state deportate il 16 ottobre, la terza, la famiglia
Terracina, è stata arrestata in seguito.
Della famiglia Spizzichino furono arrestate, all'alba del 16 ottobre,
la madre Grazia Di Segni di 54 anni, le figlie Giuditta di 21 anni,
Ada di 28 e la piccola Rossana Calò, figlia di Ada, di due
anni. Insieme a loro fu arrestata anche Settimia, sorella di Ada
e Giuditta, l'unica donna sopravvissuta alla retata del 16 ottobre.
Grazia, Ada e la nipotina Rossana furono immediatamente assassinate
all'arrivo, Settimia e Giuditta sopravvissero alla prima selezione,
ma Giuditta morì successivamente. L'arresto avvenne nella
casa di via della Reginella, nell'antico quartiere del ghetto di
Roma, dove ancora abitavano numerose famiglie appartenenti a un
ceto popolare di ebrei dediti prevalentemente a piccole attività commerciali,
in un ambiente ancora patriarcale.
La famiglia Levi, invece, abitava
in via Flaminia ed era una tipica famiglia della buona borghesia
ebraica, dedita alle professioni. Un ricordo di questa famiglia è presente nel famoso romanzo “La
parola ebreo” di Rosetta Loy. Furono arrestati il padre, ingegner
Mario Levi di 55 anni, la madre Alba Ravenna di 52 anni e il figlio
Giorgio di 18 anni. La madre fu assassinata all'arrivo, il padre
e Giorgio perirono successivamente.
La famiglia Terracina, invece,
era scampata alla retata del 16 ottobre, riuscendo a nascondersi.
Purtroppo, il desiderio di rivedere i familiari per la festività ebraica
di Pesach fu l'occasione per l'arresto, avvenuto il 7 aprile 1944.
Il figlio Piero, allora quindicenne, arrestato e deportato anche
lui insieme ai familiari e unico sopravvissuto, ha ricordato più volte
le circostanze che vi condussero. La sorella Anna, una bella ragazza
di 23 anni, era stata seguita per strada da un fascista, forse nel
tentativo di un approccio galante. Disgraziatamente questo condusse
all'identificazione della famiglia e alla localizzazione dell'appartamento.
Piero ricorda distintamente di aver visto il delatore al portone
del palazzo il giorno dell'arresto. Furono trasportati a Fossoli
e poi ad Auschwitz; il nonno Leone David di 84 anni, assassinato
all'arrivo, il padre Giovanni di 56 anni, assassinato all'arrivo,
la madre Lidia Ascoli di 57 anni, assassinata all'arrivo, la figlia
Anna di 23, deportata a Auschwitz e morta a Bergen Belsen, il figlio
Leo di 21, deportato ad Auschwitz e morto in luogo e data ignota,
Cesare di 20 anni, deportato ad Auschwitz e morto nel campo di Natzweiler
il primo dicembre 1944, Amadeo, di 49 anni deportato ad Auschwitz
e morto in quel campo il 26 ottobre 1944.
Micaela Procaccia |