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Adolfo Caviglia
Adolfo Caviglia, figlio
di Sabato Caviglia e di Ester Citoni, era uno dei fratelli
di mia nonna materna, Elvira.
Nato a Roma il 5 ottobre 1898,
era un commesso del negozio Tessilgrosin di via delle Botteghe
Oscure n.39, di
proprietà di un correligionario.
Arrestato la mattina
del 9 marzo 1943 dalla Milizia fascista, zio Adolfo fu
portato a via Tasso e poi a Regina Coeli, prima di essere
tradotto alle Fosse Ardeatine.
Di lui, che ho conosciuto
attraverso i ricordi pieni di angoscia di mia nonna, la
sorella che lo cercò e lo
attese fuori di Regina Coeli, conservo una serie di cose
da sempre nella nostra casa: un severo pendolo a muro che
scandisce le mezze ore, un gentile servizio da tè in
porcellana a piccoli fiori azzurri, le vecchie tazzine da
caffè con la base in argento.
Seppure mai conosciuto,
neppure in fotografia, questo zio è stato,
fin da piccola, una presenza viva nei racconti di famiglia,
richiamando ogni volta un dolore palpabile e forte, ancora
dopo molti anni, forse proprio per quella, anche allora,
inconcepibile "sparizione", seguita dall'affannosa ricerca,
dall'alternanza di notizie e indicazioni di speranza
e di angoscia, dalla paura per quella perquisizione, avvenuta
in casa il giorno stesso, durante la quale venne percossa
zia Silvia, un'altra sorella da allora malata di cuore.
E
poi, ancora, la disperazione, il raccapricciante riconoscimento,
effettuato da nonna, grazie ad un cucchiaino che Adolfo
portava sempre con sé per
prendere una medicina indispensabile.
L'odore acre della
morte. Lo strazio infinito di una donna fortissima, mia
nonna, che aveva già perso un marito
e poi un altro fratello deportato, ed era diventata suo
malgrado il capofamiglia.
Sensazioni e sentimenti appena accennati,
lasciati soprattutto ai lunghi sospiri, e a quegli occhi
azzurri di mia nonna che, anche dopo molti anni, si velavano
di pianto guardando qualcosa di invisibile, un punto
lontano. Poche le parole strappate negli anni di avvenimenti
che non voleva ricordare, ultima testimone di una barbarie
che vorrei non si ripetesse mai più per i nostri figli, ma che purtroppo è in
agguato oggi come ieri, ed è negli occhi di ciascuno
dei mille "diversi" che la vivono nelle strade del mondo,
ma che incontriamo, se facciamo attenzione, anche qui,
vicino a noi, ogni giorno.
Il valore di questa piccola pietra è tutto qui: non ricorda un
uomo soltanto, la sua fine ingiusta, il dolore di una famiglia,
ma sollecita la mente e il cuore di chi cammina per le strade
della città, di chi esce o entra in un portone per
essere consapevole che quella barbarie c'è stata davvero
e che è compito di ciascuno di noi essere vigile perché non
torni più.
(Ariela Riva) |
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