Municipio I
Via Marmorata, 169 - Roma
14 gennaio 2013

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Adolfo Caviglia
Adolfo Caviglia, figlio di Sabato Caviglia e di Ester Citoni, era uno dei fratelli di mia nonna materna, Elvira.
Nato a Roma il 5 ottobre 1898, era un commesso del negozio Tessilgrosin di via delle Botteghe Oscure   n.39, di proprietà di un correligionario.
Arrestato la mattina del 9 marzo 1943 dalla Milizia fascista, zio Adolfo fu portato a via Tasso e poi a Regina Coeli, prima di essere tradotto alle Fosse Ardeatine.
Di lui, che ho conosciuto attraverso i ricordi pieni di angoscia di mia nonna, la sorella che lo cercò e lo attese fuori di Regina Coeli, conservo una serie di cose da sempre nella nostra casa: un severo pendolo a muro che scandisce le mezze ore, un gentile servizio da tè in porcellana a piccoli fiori azzurri, le vecchie tazzine da caffè con la base in argento.
Seppure mai conosciuto, neppure in fotografia, questo zio è stato, fin da piccola, una presenza viva nei racconti di famiglia, richiamando ogni volta un dolore palpabile e forte, ancora dopo molti anni, forse proprio per quella, anche allora, inconcepibile "sparizione", seguita dall'affannosa ricerca, dall'alternanza   di notizie e indicazioni di speranza e di angoscia, dalla paura per quella perquisizione, avvenuta in casa il giorno stesso, durante la quale venne percossa zia Silvia, un'altra sorella da allora malata di cuore.
E poi, ancora, la disperazione, il raccapricciante riconoscimento, effettuato da nonna, grazie ad un cucchiaino che Adolfo portava sempre con sé per prendere una medicina indispensabile.
L'odore acre della morte. Lo strazio infinito di una donna fortissima, mia nonna, che aveva già perso un marito e poi un altro fratello deportato, ed era diventata suo malgrado il capofamiglia.
Sensazioni e sentimenti appena accennati, lasciati soprattutto ai lunghi sospiri, e a quegli occhi azzurri di mia nonna che, anche dopo molti anni, si velavano di pianto guardando qualcosa di invisibile, un punto lontano. Poche le parole strappate negli anni di avvenimenti che non voleva ricordare, ultima testimone di una barbarie che vorrei non si ripetesse mai più per i nostri figli, ma che purtroppo è in agguato oggi come ieri, ed è negli occhi di ciascuno dei mille "diversi" che la vivono nelle strade del mondo, ma che incontriamo, se facciamo attenzione, anche qui, vicino a noi, ogni giorno.
Il valore di questa piccola pietra è tutto qui: non   ricorda   un uomo soltanto, la sua fine ingiusta, il dolore di una famiglia, ma sollecita la mente e il cuore di chi cammina per le strade della città, di chi esce o entra in un portone per essere consapevole che quella barbarie c'è stata davvero e che è compito di ciascuno di noi essere vigile perché non torni più.

(Ariela Riva)