Il
lavoro creato per la sinagoga di Ostia trae spunto dalla
condizione di profondo dolore vissuta da Rakowitz a causa
della grave malattia che ha colpito sua madre, cui è legatissimo
personalmente e intellettualmente: a lei deve la passione
precoce per la poesia e la scelta di diventare artista.
Emigrata con la famiglia da Baghdad nel ’56 alla
volta degli Stati Uniti, ha continuato a mantenere viva
e a trasmettere al figlio la cultura e la tradizione irachena-ebraica-araba.
Quando nel ’91 è scoppiata la Guerra del Golfo,
tra il paese dove i suoi nonni si erano rifugiati e quello
dal quale erano fuggiti, Rakowitz ha sentito che l’intera
cultura della sua famiglia era minacciata e che il suo
dovere di artista era di salvaguardarla. “Come un
museo minacciato dalla guerra, come le biblioteche minacciate
dagli iconoclasti e dal fuoco, ho visto nella malattia
di mia madre una minaccia per il passato e il futuro di
una intera cultura”. Per questo, ha collezionato
per anni frammenti di Torah irachene, libri di preghiere,
bicchieri per la preghiera del sabato danneggiati e altri
oggetti religiosi, pensando di costruire un archivio della
storia ebraica irachena. “In realtà, mi sembra
di aver costruito solo una gheniza”, una sorta di
deposito, generalmente nella sinagoga, destinato a questi
oggetti religiosi prima di ricevere degna sepoltura. Se
seppellire è nascondere, mettere a giacere e a riposare
nella terra, “per Arte in Memoria propongo di seppellire
il mio archivio nel terreno della sinagoga di Ostia. E’ un
modo per dire addio alle cose che hanno bisogno di riposare,
che è la cosa più difficile da fare mentre
si cerca di rimanere vivi”. |
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