Giulio PAOLINI
Scrittura privata, L'enigma dell'ora, 2002
Scrittura a inchiostro su una lastra di travertino di cm. 100x100 (1 mq.), suddivisa in 60 frammenti su una superficie di cm. 780x780 (60 mq.)
I frammenti della Scrittura privata sono disseminati al suolo dell’aula più grande della sinagoga. A un luogo di rovine, l’artista affida per la prima volta altre rovine, della cui sparizione definitiva s’incaricherà il tempo. Un processo nient’affatto casuale – nulla è casuale in Paolini – ma progettato: si sa cosa sparirà, come sparirà, dove sparirà; l’unica incognita è il tempo, l’enigma dell’ora, appunto, come recita il sottotitolo dell’opera. Sessanta frammenti, come i sessanta minuti dell’ora, sono sparsi su un’area di sessanta metri quadrati. Su di essi l’artista scrive, con un inchiostro indelebile, un testo «a memoria». Già illeggibile perché frammentario, sarà anch’esso in balia del tempo e delle intemperie. Due i riferimenti suggeriti da Paolini: altri frammenti, come le Rovine della Biblioteca di Pergamo o quelli del vaso cinerario della contessa Lodovica Callemberg di Antonio Canova, oppure immagini del tempo, quali L’enigma dell’ora di De Chirico, naturalmente, e, agli antipodi, l’ora esatta registrata dal Naval Observatory di Washington, regolata sull’Ora Universale di Greenwich.