Marisa MERZ
Senza titolo, 2002
Alabastro
cm 50x50
Una piccola lastra quadrata di alabastro accenna, con pochi segni incisi, al profilo sinuoso di un volto, a quello spigoloso di due occhi dissimmetrici e di una bocca, ridotti alla loro essenza formale. Nell’assenza di colore, solo la polvere d’oro si distribuisce con foggia irregolare nella parte superiore della superficie: nell’impreziosire ulteriormente l’oggetto, essa radicalizza la natura bidimensionale dei segni. Nonostante contravvenga all’imperativo iconoclasta, all’interdizione cioé dell’immagine come deterrente antiidolatrico, la tavoletta di Merz è perfettamente a suo agio nella sinagoga: sembra un reperto prezioso rinvenuto nel corso degli scavi e appoggiato lì in attesa di una sistemazione definitiva, addossato a un muro di mattoni di antichissima fattura, dal quale si distingue per colore, spessore, trasparenza. Ma, soprattutto, quei pochi segni, quegli sprazzi di oro certificano l’impossibilità dell’immagine, almeno nella sua forma compiuta e irrevocabile.