Una
grande voliera ripopola il luogo con una moltitudine di esseri
viventi. Una gabbia di ferro occupa due ambienti contigui;
la sua altezza raggiunge la sommità delle quattro
colonne originarie che segnalavano una volta il vano d’ingresso.
La struttura, a tre piani, è allo stesso tempo imponente
e leggera: ha l’ardire di chiudere uno spazio aperto
da millenni ma anche la modestia di rispettarne le dimensioni
originarie e, soprattutto, la visione globale che il suo
stato di rovina consente da ogni punto. Trasparente, lo sguardo
può attraversarla abbracciando l’intorno. È abitata
da una folla «multietnica» di uccelli, la cui
dimensione, colore, valore variano con il procedere in altezza:
al piano terra i pavoni, sfarzosi e vanesi; simbolo di immortalità,
attributo di Giunone, personificazione della superbia, ricorrono
nei mosaici di epoca ellenistico-romana e, soprattutto, in
quelli bizantini. Gli abitanti dei piani superiori, invece,
sono assai meno ricchi e sgargianti, il loro colore vira
al monocromo, mentre la dimensione diminuisce progressivamente.
Questa sorta di prospettiva rovesciata accentua la verticalità dell’opera,
e non solo in accezione fisica: verticalità, infatti, è per
Kounellis sinonimo di centralità, identità,
concentrazione, contrario di orizzontalità, globalizzazione,
dispersione. Ripopolare oggi la sinagoga, simbolo dell’esilio,
conferma la validità e vitalità della diaspora. |
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