testo
Giacomo Terracina,
Enrica Di Segni, Virginia Terracina
Ricordo di Grazia Terracina (nipote di Giacomo)
Furono in tredici a non
tornare in quella casa di Via del Tempio 4. Tra loro Giacomo
ed Enrica, con la loro figlia appena nata, Virginia.
Quella maledetta mattina del 16 ottobre ’43, Giacomo e il fratello Mario
videro uscire dal portone i loro familiari, risalirono a prendere del denaro
e li raggiunsero nella speranza di farli liberare.
Un’altra sorella, Celeste, era scesa a prendere le sigarette e nonostante
fosse stata presa, con una reazione immediata riuscì a fuggire; fu lei
a raccontare quanto accadde e portò con sé il peso di quel ricordo
per tutta la vita. Come dice la signora Grazia: “Celeste è morta
dannata”.
Giacomo ed Enrica erano sposati da appena un anno, Virginia era arrivata subito,
nel mese di giugno. Giacomo lavorava la gomma come il padre e il fratello.
Avevano perso la loro licenza commerciale in seguito alle leggi razziali, ma
come tutti, all’epoca si arrangiavano. Vivevano tutti insieme, nell’appartamento
di Via del Tempio, una casa grande con dieci stanze, c’erano la sorella
Giuditta, con il marito, Vittorio Emanuele Spizzichino e i loro tre figli,
le altre due sorelle, Celeste ed Enrica.
La famiglia di Grazia, figlia di un altro fratello, David Terracina, viveva
invece a Testaccio, a Via Marmorata. Furono avvertiti da un conoscente, con
una telefonata, e riuscirono a scappare. Non sapevano dove andare, così salirono
sul tram e tutto il giorno, fino alla fine del turno, girarono su e giù sulla
circolare, protetti dai tranvieri, che non fecero domande.
La sera provarono a tornare a casa, ma minacciati da vicini di casa di avvertire
la polizia fascista, si rifugiarono nel magazzino di gomme dove lavorava il
padre sulla Via Appia e passando da un rifugio all’altro fino alla liberazione
di Roma, si salvarono.
(a cura di Sandra
Terracina)
|
|