Municipio I
Via Sicilia, 154 - Roma
13 gennaio 2011
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Clara Sereno
Un ricordo di Giovanna Luccardi


Erano le 7 e 20 del mattino, era grigio e piovigginava. Io avevo 15 anni e poltrivo a letto, credo che le scuole non fossero cominciate. Ho sentito suonare alla porta ed ho pensato che fosse la lavandaia che doveva venire quel giorno e che arrivava alle 7 e mezza. Un attimo dopo ho sentito delle urla, in pigiama sono corsa verso l'entrata ed ho trovato mia mamma, mia zia Clara (sua sorella minore) e due soldati tedeschi delle SS. I due tedeschi avevano in mano una lista con i nomi di Clara e Renzo (un fratello di mia mamma che era in America dal 1932). Mamma, che parlava bene il tedesco, cercava di spiegare ai due SS che non potevano entrare, che era la casa di un ufficiale italiano e che non avevano nessun mandato. In verità non avevamo nessuna idea di chi e come fossero i tedeschi. Appena mi vide mia mamma cercò di sbolognarmi dicendo "Va’ a telefonare al colonnello Della Martina per dirgli che intervenga subito al Comando tedesco” e mi spinse verso la scala di servizio. Io mi avviai correndo ma mi resi conto di non avere nessun numero di telefono, e, non avendo capito niente, tornai indietro. Passando dalla camera da pranzo mi trovai faccia a faccia con uno dei due SS, il più giovane e bestiale. che mi afferrò e mi disse qualcosa in tedesco. Non sapevo la lingua ma la parola JUDE la capii benissimo e con voce molto sicura dissi "Sono la figlia del colonnello Luccardi, sparito in Russia" quello afferrò sicuramente le parole “colonnello” e “Russia” e mostrò un attimo di incertezza, poi mi spinse verso la porta ma mamma aveva sentito la voce ed era corsa seguita dal soldato più anziano che disse: "queste non sono nella lista”, poi aggiunse, riferendosi a Clara: "la ragazza ha 15 minuti per fare una valigia con indumenti caldi,denari e gioielli". Sia io che mamma ci precipitammo a preparare mentre Clara si lavava e vestiva. Un quarto d'ora dopo l'hanno portata via. Ci dissero poi che arrivata al portone la fecero salire sul camion e siccome la valigia pesava e lei ebbe un attimo di difficoltà uno dei due le mollò un ceffone. La cosa più incredibile è che noi avevamo due scale e quattro ingressi e comunicavamo con la portiera del palazzo con un citofono. Sarebbe bastato che, mentre il marito saliva, lei ci avesse citofonato per darci l'allarme. Avremmo tardato ad aprire e Clara sarebbe potuta scappare per la seconda scala. Purtroppo non la cattiveria o l'ostilità ma la viltà ha fatto premio. Molti amici “ariani” si mossero per cercare di far rilasciare Clara e fu a seguito di questi tentativi che Kappler fece sapere, tramite un collaborazionista di nome Garulli, che l'avrebbe liberata se gli fosse stato dato un kg di platino (in realtà questo messaggio pervenne a mia madre dopo un certo tempo quando i deportati erano già arrivati ad Auschwitz e, forse, spero, Clara era già morta). Sempre a seguito di questi tentativi pervenne alla Farnesina, dove un amico si era dato da fare, una lettera datata marzo 1944 che diceva che L'EBREA CLARA SERENO NON POTEVA TORNARE PER MOTIVI DI ORDINE PUBBLICO. Questa lettera è stata citata al processo Eichmann a Gerusalemme ed io l'ho trovata per caso in una bacheca del museo di via Tasso.

(a cura di Giovanna Luccardi)