Donato Piazza
Municipio I
Via della Reginella 27 - Roma
11 gennaio 2016
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I miei nonni: Enrico David Di Veroli, il papà del mio papà, e Donato Piazza, il papà della mia mamma.

Spesso io e i miei fratelli ci siamo chiesti se prima della deportazione avessero mai avuto occasione di incontrarsi. Noi pensiamo di si: non ne abbiamo la certezza, ma ci piace pensarlo, dato che erano coetanei, abitavano e frequentavano le strade di Piazza, il quartiere ebraico e facevano lavori simili: i venditori.
Nonno Enrico aveva un’attività di antiquariato a Campo de’ Fiori, nonno Donato vendeva ricordi in Piazza San Pietro.
Erano due uomini dediti alla famiglia e al lavoro, non avevano grandi svaghi al di fuori dei loro impegni, ma erano due persone che amavano leggere ed essere sempre informate di quanto accadeva; conoscevano le lingue, il loro vissuto li aveva portato entrambi ad andare all’estero e a lavorare a stretto contatto con ambienti vaticani e internazionali.
Nonno Enrico era sposato con Grazia Astrologo: avevano sei figli, tra cui mio padre. In gioventù per aiutare la famiglia paterna aveva deciso, insieme a uno dei fratelli, di occuparsi di commercio e per questo motivo aveva viaggiato in Svizzera, Francia, Germania fino ad arrivare a San Pietroburgo, cosa veramente particolare per l’epoca.
Nonno Donato era sposato con Eugenia Piazza. Avevano due figli: Virginia e Samuele. Dopo il 1940 fu confinato per un lungo periodo a causa di una sua partecipazione, da giovane, al funerale di Matteotti. Durante i mesi di confino, per quanto possibile, fu sempre molto vicino alla famiglia, i figli tanto desiderati erano piccoli e non voleva far sentir loro la sua mancanza.
Con la caduta del fascismo, dai racconti giunti a noi nipoti, il suo atteggiamento fu di felicità e incredulità per quanto stava accadendo, con la certezza che non poteva essere finito tutto, che la guerra per l’Italia sarebbe continuata, ma, soprattutto, con poca fiducia nell’alleato tedesco.
Il 16 ottobre 1943 Nonno Enrico era in casa, in Via Santa Maria del Pianto. I tedeschi stranamente ignorarono quella porta scura con la placchetta lucida e dorata con scritto Di Veroli, andarono ai piani superiori, fu il classico colpo di fortuna. Tutta la famiglia lasciò l’appartamento, lui e sua figlia Olga trovarono rifugio a Trastevere per qualche giorno, la moglie e le altre figlie Fernanda e Flora vennero ospitate in un convento e i figli maschi Michele e Giacomo già erano alla macchia nella resistenza. Silvia, la figlia più grande, fu catturata, con tutta la sua famiglia, durante la razzia; nessuno farà ritorno.
Nonno Donato, invece, quel giorno era lontano, nell’alto Lazio, perché dopo la richiesta dell’oro alla Comunità di Roma e la promessa che alla consegna non ci sarebbe stata la deportazione degli uomini, non si sentì affatto al sicuro e scappò nelle campagne. Tornò a Roma alla fine del 1943 per essere vicino alla famiglia.
Nel 1944, la vita degli ebrei romani fu caratterizzata dalla paura e dalla clandestinità; dagli arresti (molti su delazione) e dalle deportazioni. Anche i miei nonni ne furono vittime.
Nonno Donato fu arrestato il 7 aprile a San Pietro, a pochi passi dalla linea bianca che delineava lo Stato Città Vaticano che avrebbe significato la sua salvezza. Quel giorno era la vigilia di Pesach, la Pasqua ebraica, una delle festività più importanti per l’ebraismo, un momento in cui le famiglie si riuniscono e che rappresenta la libertà dalla schiavitù. Per lui, invece, rappresentò l’inizio del dramma del Lager, caratterizzato da continui trasferimenti da un KZ all’altro, l’ultimo dei quali fu Vainingen – sottocampo di Natzweiler in Alta Slesia – dove morì il 16 marzo 1945, nei giorni immediatamente precedenti alla liberazione. Non possiamo sapere quale sia stata la causa della sua morte: forse era malato, o forse la fame e la fatica che aveva fatto nel campo lo portarono alla fine. Secondo il racconto di un compagno di prigionia di mio nonno, potrebbe essere morto anche di cibo, come a molti accadde dopo che le SS abbandonarono i campi. Chi aveva ancora forze per muoversi, infatti, assalì le cucine e ingurgitò quel che trovava; ma i loro stomaci non erano più abituati a mangiare, e quelle razioni prese ai tedeschi furono le ultime cose da mangiarono. Mio nonno, forse, morì così, ed è una delle poche vittime della Shoah che ha avuto sepoltura. Ora è a Monaco di Baviera nel Cimitero Militare Italiano.
Nonno Enrico venne arrestato il 15 aprile, esattamente dopo sette giorni l’arresto di nonno Donato, su delazione di un conoscente che lo aveva indicato ai fascisti nei pressi del Convento dove era nascosta una parte della famiglia; quel giorno finiva Pesach e lui era andato, su richiesta della moglie, a prendere delle cose da mangiare, per la cena di fine Pasqua.
Da quel 15 aprile, i destini dei miei nonni per pochi momenti si incrociarono; tutti e due furono detenuti a Regina Coeli nel III braccio, quello in mano ai nazisti; vennero tutti e due trasferiti a Fossoli il 16 maggio e furono deportati ad Auschwitz il 23; quindi viaggiarono sullo stesso treno.
Nonno Enrico, poco più grande di nonno Donato, non superò la selezione e fu subito avviato alle camere a gas. Nonno Donato fu immatricolato e costretto all’atrocità e alla violenza dei Lager.
Spesso ci siamo chiesti se nei giorni di Regina Coeli, di Fossoli o durante il viaggio verso Auschwitz i nostri nonni hanno scambiato qualche parola o si sono dati aiuto in qualche maniera. Forse si, ma di certo non avrebbero mai pensato che i loro figli si sarebbero incontrati, innamorati e sposati. E avrebbero avuto due bambine, Eugenia e Grazia, e due bambini, che anche nel nome portano avanti la loro memoria: Enrico, che oggi ha cinquant’anni, una moglie e una figlia, e Donato, che ha quarantotto anni e una moglie.
Non sappiamo, quindi, se i destini dei nostri nonni si sono intrecciati in quei momenti terribili di morte. Sappiamo, però, e di questi siamo sicuri, che nella vita e nel futuro si sono intrecciati in un modo così stretto che hanno origine a un’unica famiglia. Oggi hanno in comune quattro nipoti e quattro pronipoti.
Che il loro ricordo sia di benedizione.
Che la loro memoria sia eterna.

Grazia Di Veroli