testo
Angelo
Anticoli, l'orefice che pesò i 50 chili d'oro
La
pietra d'inciampo che ricorda Angelo Anticoli è stata posta
all'angolo tra Via in Publicolis ed il vicolo omonimo,
dove Angelo aveva la sua bottega con laboratorio di oreficeria
e dove abitava al civico 46, come risulta dalla "Denuncia
di appartenenza alla razza ebraica" del 1938, insieme
alla moglie, Rosa Limentani, e ai tre figli, Celeste, all'epoca
di 8 anni, Graziano di 6 e Silvia di 2. Benché i
tempi fossero difficili, Angelo, che aveva fin da giovane
acquisito arte ed esperienza nella lavorazione dei gioielli,
era divenuto un orafo noto non solo nell'ambiente ebraico.
Rosa si dedicava ai figli, nel 1941 era nata anche Milena,
ma come racconta oggi Silvia, appena poteva lo aiutava
nel lavoro e abilissima anche con la macchina da cucire
contribuiva al mantenimento della famiglia eseguendo in
casa piccoli lavori di sartoria. Il
26 settembre 1943, nelle ore di concitazione e di preoccupazione
che seguirono alla richiesta da parte di Kappler alla Comunità ebraica
di Roma di raccogliere e consegnare entro 36 ore 50 kg.
d'oro sotto la minaccia, in caso di rifiuto, della deportazione
di 200 ebrei, i dirigenti della Comunità si rivolsero
immediatamente a Angelo Anticoli, incaricandolo di coordinare
il lavoro di saggiatura e di pesatura degli oggetti d'oro,
anelli, catenine, ciondoli che venivano faticosamente via
via raccolti. Olga Di Veroli, una delle giovani volontarie
che rilasciava le ricevute, ha raccontato nella sua testimonianza
che "l'orefice", come era soprannominato Angelo,
in molti casi non lasciò intatti gioielli di grande
valore per non metterli integri in mano ai tedeschi, come
pure furono molti i gesti solidali e le offerte in oro
e in denaro da parte di non ebrei. Nei ricordi famigliari è rimasta
l'angoscia di Angelo, al suo ritorno stremato a casa la
sera, dopo la giornata trascorsa nella sala del Consiglio,
al secondo piano del Tempio, per l'incertezza dell'esito
della raccolta, quando la meta da raggiungere sembrava
ancora lontana. Com'è noto il quantitativo fu raggiunto
poco prima del termine e Angelo Anticoli fece parte
della piccola delegazione che insieme ai presidenti della
Comunità, Ugo Foà e dell'Unione, Dante Almansi
e al commissario Cappa dell'Ufficio Razza si recò a
Via Tasso a consegnare l'oro. Fu Angelo a compiere davanti
al capitano Schutz, incaricato in sua vece da Kappler,
le dieci pesate esatte da 5 kg. l'una, con una voluta eccedenza
di 300 gr., ma benché le operazioni fossero state
registrate e controllate sia da Almansi che da un ufficiale
tedesco, Schutz insistette che erano state solo nove, aggiungendo
all'estorsione la frode. Dopo lunga discussione fu infine
consentito ad Angelo Anticoli di ripetere le pesate, che
risultarono inequivocabilmente precise: l'inganno della
consegna dell'oro, di cui Schutz rifiutò di
dare ricevuta, si era così concluso.
Della
mattina del 16 ottobre1943 Silvia Anticoli ricorda come
in un incubo solo il rumore sul selciato dei passi dei
nazisti che procedevano al rastrellamento degli ebrei casa
per casa e mamma Rosa che stava lessando delle castagne
da dare ai bambini: quando bussarono al portone di Via
in Publicolis non aprirono e non fecero alcun rumore; per
fortuna, e forse perchè nell'edificio, posto in
un vicolo un po' defilato rispetto al "ghetto storico",
abitavano famiglie di non ebrei, i soldati tedeschi passarono
oltre. Angelo Anticoli decise di trovare subito rifugio
altrove e dopo varie soluzioni precarie la famiglia si
divise: Rosa con le tre figlie si nascose nel Convento
delle Suore di Santa Francesca Romana vicino al Campidoglio,
mentre Angelo con Graziano fu accolto da una comunità di
frati a Via dei Serpenti. Il 19 aprile 1944 Angelo si stava
recando con Graziano a trovare Rosa e le bambine di cui
desiderava avere notizie, quando fu fermato, con ogni probabilità in
base a delazione, da membri di una delle varie bande che
collaboravano per denaro con fascisti e nazisti alla cattura
degli ebrei e tradotto al carcere di Regina Coeli. A
Graziano, che aveva allora solo 12 anni, fecero segno di
allontanarsi in fretta e fu lasciato fuggire. Durante la
permanenza in carcere Angelo scrisse quasi ogni giorno
a Rosa, in tutto una trentina di lettere che furono recapitate
a mano, scritte a matita con calligrafia chiara e ferma
su carta rimediata fortunosamente, che Silvia conserva
gelosamente: in esse trapelano i disagi durante la prigionia,
ma Angelo sembra pensare costantemente solo alla famiglia,
di cui chiede continuamente notizie. Poco più di
un mese dopo l'arresto Angelo Anticoli venne trasferito
a Fossoli, insieme a oltre 300 ebrei romani e secondo una
testimonianza ricevuta dai famigliari, durante la permanenza
al campo, trovò ancora modo di rendersi utile facendo
forchette e cucchiai per chi ne aveva bisogno. Fu deportato
ad Auschwitz con il convoglio del 26 giugno, uno degli
ultimi, e morì il 24 settembre 1944. Aveva compiuto
da poco 38 anni.
Dopo
la guerra Rosa Anticoli con i figli, in mezzo a mille difficoltà,
ma con il desiderio di ritornare alla vita, riaprì la
bottega di Angelo e ne proseguì l'attività fino
agli anni '70. In particolare Graziano raccolse l'eredità artigiana
del padre aprendo alla metà degli anni '60 un suo
negozio di oreficeria al Pantheon.
Oggi,
dice Silvia con orgoglio, ci sono in tutto 16 tra nipoti
e pronipoti cui mostrare la pietra d'inciampo e tramandare
questa storia...
(Bice
Migliau)
NOTA
Tra
la documentazione, le ricostruzioni storiche e le numerose
testimonianze che trattano della raccolta dell'oro, il
ruolo di Angelo Anticoli è espressamente citato
in: Relazione del presidente della Comunità Israelitica
di Roma Foà Ugo circa le misure razziali adottate
in Roma dopo l'8 settembre a diretta opera delle Autorità Tedesche
di occupazione, Roma
1950, Archivio Storico della Comunità Ebraica
di Roma, Archivio contemporaneo, busta 44, fascicolo
6, pubblicata in Ottobre1943. Cronaca di una infamia, a
cura della Comunità Israelitica
di Roma, Roma 1961, p. 15 e nel Diario di Rosina
Sorani impiegata della Comunità di Roma nel periodo
dell'occupazione tedesca ,
ibidem, pp. 35-36; F. Coen, 16 ottobre1943. La grande
razzia degli ebrei di Roma ,
Giuntina, Firenze 1993, p. 33; F. Tagliacozzo, Gli
ebrei romani raccontano la «propria» Shoah.
Testimonianze e memorie raccolte e organizzate a cura
di Raffaella Di Castro ,
Giuntina, Firenze 2010, p. 119; nella testimonianza di
Olga Di Veroli contenuta nel documentario a cura dell'Archivio
Audiovisivo del Movimento Operaio e del Centro di Cultura
Ebraica della Comunità Ebraica di Roma Memoria
presente: ebrei e città di Roma durante l'occupazione
nazista ,
regia di Ansano Giannarelli, Roma 1984; nell'intervista
a Alberto Piazza Sed, Roma 1998, raccolta dalla USC Shoah
Foundation Institute for Visual History, conservata e
consultabile presso l'Archivio Centrale dello Stato (Shoah
41755).
|
|
|