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Dal discorso di
Mauro Galeazzi in occasione della deposizione delle pietre
d’inciampo
Qui, in via Miani 4, abitavano tre persone, mia zia Margherita Veneziani, sorella
di mia madre, il marito Piero Veneziani (erano cugini), e il loro figlio Guido,
mio cugino che all’epoca aveva nove anni; in questa casa il 16 ottobre
del 1943 furono presi dai nazisti delle SS. Nella strada parallela a questa,
via Dandini 20, furono presi i nonni il 2 febbraio 1944; io sono nato in quella
casa e lì ho vissuto fino all’età di 12 anni. Per essere
più precisi in questa casa di via Miani sono stati presi in quattro,
c’era infatti quella mattina anche un’altra sorella di mia madre,
Marcella, che non era nella lista perché abitava in via Dandini. Ella
spontaneamente seguì gli altri perché, da quanto riferito dalla
mamma, il nipote Guido le chiese piangendo di non lasciarlo, e anche lei non è più tornata.
Quella mattina nella casa di via Miani c’era anche mia madre ma si allontanò prima
dell’arrivo delle SS, intorno alle ore 8, perché doveva recarsi
al lavoro e solo per un caso non fu presa anche lei. Quindi la pietra che ricorda
la zia Marcella verrà posata in via Dandini dove risedeva. Scusate se
mi dilungo un po’ ma me l’avete chiesto voi di raccontare questa
storia che merita di essere riferita per intero anche per le implicazioni storiche
che queste vicende assumono. In via Dandini abitavano i miei nonni Giacomo
Veneziani e Celeste Sestieri, mia madre Leda e un’altra sorella di mia
madre che si chiamava Luciana. Luciana fu presa con i nonni; voglio precisare
per rispetto della verità storica, che questa volta non furono le SS
a fare la retata bensì la polizia fascista e si raccontò che
fosse venuta a seguito di una spiata perché i miei familiari erano rientrati
da pochi giorni in casa essendo stati nascosti per non meno di tre mesi dopo
i tragici eventi del 16 ottobre. A tale proposito rammento che mia nonna, mia
madre Leda e zia Luciana rimasero nascoste presso l’ospedale San Camillo,
dove furono ricoverate per circa tre mesi, grazie alla compiacenza di un primario.
La mattina, la mamma e la zia uscivano per recarsi al lavoro e rientravano
la sera. Non potendo questa situazione durare troppo a lungo e confidando nel
fatto che la tempesta fosse passata definitivamente, tutti tornarono nell’abitazione
di via Dandini. Per questo si pensò che l’arresto si sia verificato
a seguito di una spiata fatta da qualcuno che ci avrebbe guadagnato qualche
soldo. I nonni e zia Luciana furono quindi presi dalla polizia fascista, ma
il destino è strano perché mia madre non c’era, era andata
a fare compere per la famiglia. Ad onor del vero si salvò anche per
l’aiuto di qualche condomino perché al suo ritorno in casa c’era
ancora il commissario di polizia e una guardia, mossa a compassione, fece prendere
mia madre da qualcuno presente che la nascose all’ultimo piano dello
stabile. Così si salvò mia madre per la seconda volta. A questo
punto merita di essere raccontata anche la vicenda di zia Luciana, anche per
le implicazioni storiche che contiene. Luciana si era segretamente sposata
con un cattolico di nome Gianni Santacolomba nato a Cefalù (PA) con
cui da anni era fidanzata, il quale per una tragica bizzarria del solito destino
morì in campo di concentramento in Germania. Egli era infatti un ufficiale
dell’esercito italiano che, inviato a combattere in Grecia, incappò nella
tragica vicenda di Cefalonia che tutti conoscono. Dopo la rivolta contro i
tedeschi, essendosi rifiutato di collaborare con i nazisti, fu deportato in
Germania dove trovò la morte per stenti e malattia. Di lui conservo
ancora molte lettere spedite dal campo di concentramento, indirizzate a mia
zia. E dire che mio nonno non voleva che si sposassero! Non perché Gianni
fosse cattolico ma perché non voleva che il matrimonio con una ebrea
potesse compromettergli la carriera militare; questo mi raccontava mia madre.
Di questo matrimonio esisteva un certificato in casa e mia madre, che sapeva
dove era nascosto, nottetempo lo recuperò e lo fece pervenire al commissario
tramite amici cattolici e il commissario fu costretto a rilasciare Luciana
in base alla legge, voluta dal Vaticano, che proteggeva i matrimoni misti.
In conclusione oggi siamo qui a rendere omaggio e a restituire dignità a
6 persone, una delle quali era un bambino di 9 anni, morte in modo orribile,
alcune nelle camere a gas altre non si sa neanche come, soltanto perché ebree;
facciamo almeno in modo, con il nostro gesto simbolico, consistente nella deposizione
di queste pietre, di lasciare una traccia del loro passaggio in questo mondo
affinché loro e il ricordo del loro sacrificio non siano dimenticati.
(M. Galeazzi) |
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