Municipio I
Via dei Giubbonari, 30 - Roma
12 gennaio 2011
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Angelo Limentani e Angelo Tagliacozzo.
Aldo Astrologo racconta…

Le famiglie Limentani e Tagliacozzo abitavano entrambe a Roma, in via dei Giubbonari, numero 30.
La famiglia Limentani era formata dai genitori, David e Virginia Piperno e dai loro sei figli: Rosetta e Cesira (morte prematuramente), Clelia, Franca, Settimio e Angelo: un ragazzo solare e sorridente, impiegato in un grande magazzino di via Arenula e fidanzato con una sorella di mia madre.
I Tagliacozzo, invece, erano un nucleo composto da Prospero, da sua moglie Bellina e dai loro cinque figli: quattro ragazze ed un unico maschio, mio zio Angelo: un giovane innamorato di Giuliana, una ragazza non ebrea.
Con l’occupazione nazista di Roma, le famiglie si ritrovarono a vivere nella stessa casa.
Infatti, sia i Limentani sia i Tagliacozzo, scampati alla razzia del ghetto, furono costretti a nascondersi e a vivere clandestini. Prospero si rifugiò in un appartamento; Angelo, invece, si nascose in casa della fidanzata, dove pare che fu vittima di un ricatto a causa del quale abbandonò la casa nel maggio del 1944.
Così, Bellina -che con la famiglia si era nascosta in casa del pittore Leggeri- propose al ragazzo di raggiungerli.
Il 16 marzo David uscì per rimediare un lavoro e - riconosciuto come ebreo da un conoscente - fu arrestato e portato nel carcere romano di Regina Coeli.
Dopo una settimana, nelle vie del centro rimbombò il boato di una bomba esplosa in Via Rasella, ed il 24 marzo i nazisti risposero all’attentato gappista con l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Le vittime furono scelte anche tra i bracci di Regina Coeli: David Limentani -e con lui altre 334 persone- fu prelevato, portato presso le cave di pozzolana sulla via Ardeatina ed ucciso barbaramente.
Le famiglie, oramai composte solo da donne e ragazzi continuarono a vivere in clandestinità, ma una sera del maggio 1944, tre fascisti -probabilmente in seguito a una spiata- irruppero nel condominio, in cerca -come dissero- di “comunisti”.
Bussarono alla porta del signor Leggeri chiedendo se in casa ci fossero uomini.
“Uomini? No…” tergiversò “qui ci sono solo tre ragazzi”.
“Quanti anni hanno?”.
“Sui ventidue, ventitre…”.
“E lei li chiama ragazzi?!”.
Il signor Leggeri fu indotto a far strada ai fascisti che, quando arrivarono nella camera, non trovarono nessun giovane. Infatti, i tre amici -che avevano ascoltato tutto- stavano tentando la fuga per i tetti romani, ma i fascisti imposero loro di scendere, minacciando di rifarsi sulle donne: madri e sorelle.
Furono costretti a tornare indietro.
Così, mio zio e i fratelli Limentani furono catturati e deportati, prima a Fossoli, poi ad Auschwitz.
Avevano ventitre, ventiquattro e ventisette anni.
Solo Settimio è sopravvissuto e ha raccontato di aver diviso il pane con il fratello fino al gennaio del 1945, quando s’iniziarono le evacuazioni forzate del campo. Era gravemente ammalato e i tedeschi -pensando che sarebbe morto- lo lasciarono nella baracca. Angelo, invece, fu scelto per la marcia della morte.
Settimio dal suo block vide passare il fratello, cercando di seguirlo almeno con lo sguardo fino a che non scomparve tra gli altri detenuti che marciavano. Non seppe più nulla. Nessuno ha più saputo nulla.

Dopo la guerra, Settimio Limentani ha ricominciato a vivere una vita che non sembrava più proseguibile: ha lavorato, si è sposato e ha avuto dei figli. Ma Auschwitz è un passato che non passa e Settimio è morto a sessantacinque anni chiamando il fratello più piccolo: “Angelo… Angelo… Angelo...”.

A. Astrologo
(a cura di E. Guida)