La
testimonianza di Alberta Levi Temin
gennaio 2010
Il 28 gennaio 2010 a
Roma, in Via Flaminia 21, sono state poste tre pietre
d’inciampo a ricordo che in quella casa vivevano
l’ing. Mario Levi, sua moglie Alba Ravenna in Levi,
e il loro figlio Giorgio di 16 anni, mio cugino, quasi
fratello, dato che i nostri padri erano fratelli e le
nostre mamme sorelle. Il 16 ottobre 1943 sono stati prelevati
da due SS naziste alle 6 del mattino, quando ancora dormivano
nei loro letti: dopo soli 20 minuti uscirono prigionieri.
Quella mattina in quella casa c’ero anche io con
la mia mamma e mia sorella Piera; papà, per esigenze
logistiche, dormiva in un’altra casa. Eravamo arrivati
solo da 3 giorni, fuggiti da Ferrara dopo una visita
notturna della questura italiana, alla ricerca di giovani
ebrei fra i 20 e i 30 anni. In casa nostra, pur cercando
in ogni stanza, non ne trovarono e se ne andarono senza
portare via nessuno.
A Ferrara, quella notte, sono stati messi in prigione 22 giovani ebrei tutti
maschi; “saranno adibiti a qualche lavoro civile” diceva mio padre
sempre fiducioso, invece dopo due mesi di carcere, furono consegnati ai nazisti
e finirono ad Auschwitz. Io non avevo fiducia e riuscii a convincere papà che
era giunto il momento di accettare l’insistente invito degli zii di trasferirci
da loro, certi che Roma sarebbe stata liberata in breve tempo. Forte dell’esperienza
di Ferrara, quando tre giorni dopo il nostro arrivo, all’alba del 16
ottobre 1943, mi svegliai di soprassalto per una insistente suonata del campanello
di casa, pensai che non essendoci ragazzi fra i 20 e i 30 anni, non avrebbero
preso nessuno. Ma non volevo sentire quel passo per la casa alla ricerca di
qualcuno nascosto. Questo dissi a mamma e a Piera, scesi dal letto e in camicia
uscii sul balcone.
Mia sorella Piera chiuse il balcone alle mie spalle, mentre due SS, urlando
come se fossero in dieci, spalancavano nella nostra camera la porta che dava
sul corridoio. Capii subito che avrebbero portato via tutti, anche la mia mamma
e mia sorella Piera. E io? Mi brucia ancora dirlo: rimasi fuori al balcone,
paralizzata, pietrificata, appoggiata alla parete di fianco alla finestra,
con l’orecchio teso vicino allo stipite per cercare di sentire, di capire
quanto accadeva. In meno di 20 minuti la casa fu vuota. La mia mamma e mia
sorella Piera sono state salvate dall’energia di zia Alba che, nel Collegio
Militare di via della Lungara dove erano state condotte, le ha letteralmente
spinte a varcare la soglia dove erano stati invitati ad entrare solo i cattolici
di matrimonio misto. Dopo 12 ore , le più dolorose della mia vita, per
un insperato miracolo, mamma, papà, mia sorella Piera ed io eravamo
insieme. Ma gli altri miei cari? Quel giorno furono 1023 i deportati da Roma;
caricati sui carri bestiame la mattina del 18 ottobre, raggiunsero il campo
di eliminazione di Auschwitz la sera del 22, ma solo il 23 mattina furono fatti
scendere ; 827 persone, di cui 244 erano bambini sotto i 10 anni, quel giorno
stesso, condotti nelle camere a gas, fu messa fine alle loro indicibili sofferenze.
Fra loro, è documentato, c’era Alba. 196 furono scelti per lavorare,
fino all’esaurimento delle loro forze. Solo 16 persone di questo gruppo
erano vive il 27 gennaio 1945, quando Auschwitz fu liberata. Alberta e la sua
famiglia seppero dopo anni e caparbie ricerche che, fra i 149 uomini mandati
a lavorare, c´erano anche lo zio Mario e il cugino Giorgio. I loro nomi
sono stati ritrovati ancora fra i vivi, nei macabri registri di Auschwitz,
nel dicembre del 1943. Poi più niente.
Da quell’inferno è tornato, unico del suo nucleo familiare, un
altro mio carissimo cugino, Gegio Ravenna, uno di quei 22 giovani, aveva allora
23 anni, messi in prigione a Ferrara nell’ottobre del 1943.
Il 28 gennaio 2010, a Roma, davanti al portone di ingresso del palazzo di Via
Flaminia 21, sono state poste 3 “pietre d’inciampo” per ricordare
al passante che lì abitavano Mario Levi, Alba Ravenna Levi, Giorgio
Levi, deportati ad Auschwitz il 16/10/1943. Per iniziativa di Diana Pezza Borrelli è stato
il regalo che l’Amicizia Ebraica-Cristiana di Napoli ha offerto per i
miei 90 anni. Non ho parole per ringraziare; prevedevo l’emozione che
ho provato, ma imprevisti sono stati i pensieri che si sono imposti alla mia
mente in quel momento: i miei cari, almeno i loro nomi, tornavano a casa, non
erano più nel vento, non sarebbe stata solo la pietra tombale posta
nel cimitero di Ferrara accanto a quella dei nonni Ravenna a ricordarli. Qui,
su questo marciapiede cammina la vita, e i loro nomi ne faranno parte.
Il mio grazie va anche ad Adachiara Zevi che ha saputo realizzare a Roma il
progetto, a Rosetta Loy, a Ottavia Piccolo presenti anche con la loro parola,
ai moltissimi amici e ai parenti che ho sentito tutti vicini, e finalmente
a Gunter Demnig, l’artista che ha ideato gli “Stolpersteine” (Pietre
d’inciampo), che ho avuto il piacere di conoscere e ringraziare personalmente. |