Municipio
I |
Via
Girolamo Dandini, 20 -
Roma
13 gennaio 2011 |
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testo
Dal discorso di Mauro Galeazzi in occasione della
deposizione delle pietre d’inciampo
Qui, in via Miani 4, abitavano tre persone, mia zia Margherita
Veneziani, sorella di mia madre, il marito Piero Veneziani
(erano cugini), e il loro figlio Guido, mio cugino che
all’epoca aveva nove anni; in questa casa il 16 ottobre
del 1943 furono presi dai nazisti delle SS. Nella strada parallela a questa,
via Dandini 20, furono presi i nonni il 2 febbraio 1944; io sono nato in quella
casa e lì ho vissuto fino all’età di 12 anni. Per essere
più precisi in questa casa di via Miani sono stati presi in quattro, c’era
infatti quella mattina anche un’altra sorella di mia madre, Marcella, che
non era nella lista perché abitava in via Dandini. Ella spontaneamente
seguì gli altri perché, da quanto riferito dalla mamma, il nipote
Guido le chiese piangendo di non lasciarlo, e anche lei non è più tornata.
Quella mattina nella casa di via Miani c’era anche mia madre ma si allontanò prima
dell’arrivo delle SS, intorno alle ore 8, perché doveva recarsi
al lavoro e solo per un caso non fu presa anche lei. Quindi la pietra che ricorda
la zia Marcella verrà posata in via Dandini dove risedeva. Scusate se
mi dilungo un po’ ma me l’avete chiesto voi di raccontare questa
storia che merita di essere riferita per intero anche per le implicazioni storiche
che queste vicende assumono. In via Dandini abitavano i miei nonni Giacomo Veneziani
e Celeste Sestieri, mia madre Leda e un’altra sorella di mia madre che
si chiamava Luciana. Luciana fu presa con i nonni; voglio precisare per rispetto
della verità storica, che questa volta non furono le SS a fare la retata
bensì la polizia fascista e si raccontò che fosse venuta a seguito
di una spiata perché i miei familiari erano rientrati da pochi giorni
in casa essendo stati nascosti per non meno di tre mesi dopo i tragici eventi
del 16 ottobre. A tale proposito rammento che mia nonna, mia madre Leda e zia
Luciana rimasero nascoste presso l’ospedale San Camillo, dove furono ricoverate
per circa tre mesi, grazie alla compiacenza di un primario. La mattina, la mamma
e la zia uscivano per recarsi al lavoro e rientravano la sera. Non potendo questa
situazione durare troppo a lungo e confidando nel fatto che la tempesta fosse
passata definitivamente, tutti tornarono nell’abitazione di via Dandini.
Per questo si pensò che l’arresto si sia verificato a seguito di
una spiata fatta da qualcuno che ci avrebbe guadagnato qualche soldo. I nonni
e zia Luciana furono quindi presi dalla polizia fascista, ma il destino è strano
perché mia madre non c’era, era andata a fare compere per la famiglia.
Ad onor del vero si salvò anche per l’aiuto di qualche condomino
perché al suo ritorno in casa c’era ancora il commissario di polizia
e una guardia, mossa a compassione, fece prendere mia madre da qualcuno presente
che la nascose all’ultimo piano dello stabile. Così si salvò mia
madre per la seconda volta. A questo punto merita di essere raccontata anche
la vicenda di zia Luciana, anche per le implicazioni storiche che contiene. Luciana
si era segretamente sposata con un cattolico di nome Gianni Santacolomba nato
a Cefalù (PA) con cui da anni era fidanzata, il quale per una tragica
bizzarria del solito destino morì in campo di concentramento in Germania.
Egli era infatti un ufficiale dell’esercito italiano che, inviato a combattere
in Grecia, incappò nella tragica vicenda di Cefalonia che tutti conoscono.
Dopo la rivolta contro i tedeschi, essendosi rifiutato di collaborare con i nazisti,
fu deportato in Germania dove trovò la morte per stenti e malattia. Di
lui conservo ancora molte lettere spedite dal campo di concentramento, indirizzate
a mia zia. E dire che mio nonno non voleva che si sposassero! Non perché Gianni
fosse cattolico ma perché non voleva che il matrimonio con una ebrea potesse
compromettergli la carriera militare; questo mi raccontava mia madre. Di questo
matrimonio esisteva un certificato in casa e mia madre, che sapeva dove era nascosto,
nottetempo lo recuperò e lo fece pervenire al commissario tramite amici
cattolici e il commissario fu costretto a rilasciare Luciana in base alla legge,
voluta dal Vaticano, che proteggeva i matrimoni misti.
In conclusione oggi siamo qui a rendere omaggio e a restituire dignità a
6 persone, una delle quali era un bambino di 9 anni, morte in modo orribile,
alcune nelle camere a gas altre non si sa neanche come, soltanto perché ebree;
facciamo almeno in modo, con il nostro gesto simbolico, consistente nella deposizione
di queste pietre, di lasciare una traccia del loro passaggio in questo mondo
affinché loro e il ricordo del loro sacrificio non siano dimenticati.
(M. Galeazzi) |
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